PASSAGGIO GENERAZIONALE: TRUST O PATTO DI FAMIGLIA
CONSULENZA TRIBUTARIA, SOCIETARIA E DEL LAVORO

PASSAGGIO GENERAZIONALE: TRUST O PATTO DI FAMIGLIA

18 MAG 2018
Essendomi dovuto occupare del passaggio generazionale non ho potuto fare a meno di dilettarmi in questo approfondimento dei due istituti che a mio parere meglio si addicono ad intraprendere siffatto percorso.
Da tempo, è stata, segnalata una possibile (o per alcuni assai probabile) futura revisione dell'imposta di successione e donazione disciplinata dal DL 3.10.2006 n. 262 e dal D.Lgs. 31.10.1990 n. 346 che, allo stato e dalla comparazione con la situazione esistente negli altri Paesi, rendono il nostro Paese un vero e proprio paradiso fiscale.
Mi è sembrato giusto quindi ripartire dal contenuto della proposta di L. 20.1.2015 n. 2830, costituita da un unico articolo di due commi, attraverso cui l'art. 1 comma 1, è stato proposto di sostituire, le attuali aliquote previste dall'art. 2 commi 48 e 49, del citato DL 262/2006, riducendo la franchigia dall'attuale milione di euro a 500.000 euro e innalzando l'imposizione fiscale:
•           dal 4% al 7% per il coniuge e i parenti in linea retta;
•           dal 6% all'8% per cento per i fratelli e le sorelle;
•           dal 6% al 10% su tutto il val. ereditato per i parenti fino al quarto grado e affini in linea retta;
•           dall'8% al 15% su tutto il valore ereditato da altri soggetti.
Analoghe modifiche sono proposte alle aliquote relative all'imposizione sulle donazioni.
Inoltre, è previsto, con un comma aggiuntivo, che per un valore ereditato superiore a 5 milioni di euro l'imposizione fiscale ordinaria sia triplicata. Con il comma 2, abrogando le lett. h) e i) del comma 1 dell'art. 12 della L 346/1990, si propone, di comprendere nell'asse attivo ereditario i titoli del debito pubblico, i buoni ordinari del tesoro e i certificati di credito del tesoro, tutti gli altri titoli di Stato, garantiti dallo Stato o equiparati nonché ogni altro bene o diritto.
In considerazione di tutto ciò non v’è chi non veda come la tematica debba essere considerata in tutte quelle ipotesi, (l’80% delle aziende italiane sono a conduzione familiare), in cui i soggetti interessati necessitino di una pianificazione in vita e ciò in considerazione del possibile aggravio impositivo del patrimonio aziendale oggetto di successione.
Mi riferisco alle realtà aziendali per lo più di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da familiarità che accomuna la provenienza del capitale di rischio e la governance dell’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica prescelta.
Tali aziende non sono connotate da una stabilità temporale, dato che al ricambio generazionale si accompagna un tasso di mortalità aziendale pari a circa il 50% nel passaggio dalla prima alla seconda generazione e addirittura del 70% nel passaggio dalla seconda alla terza.
Ma allora quali sono gli strumenti ai quali ricorrere?
IL PATTO DI FAMIGLIA
Partiamo dalla considerazione che i trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli artt. 768-bis ss. c.c. a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni, non sono soggetti ad imposta, in caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. a), del TUIR il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 1), c.c., a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione)
Questo strumento non è soggetto a collazione o a riduzione e comporta l’immediato trasferimento della titolarità dell’azienda oppure della partecipazione che la rappresenta.
E’ limitato al trasferimento della sola azienda o delle partecipazioni sociali con esclusione, del denaro, dei  titoli, degli immobili non compresi nel complesso aziendale.
Introdotto nell’ordinamento con legge 14 febbraio 2006, n. 55, si è rivelato non sempre idoneo a risolvere le complicate esigenze familiari, ed è caratterizzato dal fatto di essere un contratto con cui, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.
La condizione per la sua efficacia è che gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare coloro che al momento della sottoscrizione del patto sarebbero legittimari rispetto all’imprenditore.
Il pagamento dovrà essere effettuato in denaro o in natura, mediante la corresponsione di una somma equivalente al valore delle quote di legittima e quanto ricevuto dai contraenti, ai sensi dell’art. 768-quater c.c..
E’ fatta salva la possibilità che i partecipanti al patto non assegnatari dell’azienda rinunzino, in tutto o in parte, alla liquidazione della somma corrispondente al valore delle quote loro spettanti magari dietro riconoscimento di diversi valori che possono essere inseriti in polizze assicurative.
L’attribuzione dell’azienda al beneficiario è disciplinata dall’art. 58, comma 1, TUIR (d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917) che dispone che “il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa”: in concreto, l’operazione è fiscalmente neutra. …”.

IL TRUST
Cominciamo dalla affermazione che nel TUIR non esistono disposizioni che assimilano la disposizione in Trust da parte di persona fisica, alla cessione ovvero al conferimento delle stesse, sicché tale disposizione non è oggetto di tassazione.
Il Trust è l’istituto che consente di arrivare con maggiore efficienza e funzionalità agli obiettivi prefissati nel percorso del passaggio generazionale, per via della sua adattabilità alle condizioni più complicate.
In esso possono confluire qualsiasi tipo di beni, il controllo può essere affidato ad un terzo con le regole più confacenti alla situazione familiare, ma senza ledere le quote di legittima degli eredi del disponente. E’ il più valido strumento per garantire il successivo trasferimento delle partecipazioni ad altri soggetti, normalmente (ma non sempre) ricompresi nell’ambito familiare del disponente.
Come noto, il trasferimento di partecipazioni al Trust può avvenire da una persona fisica oppure da persona giuridica.
Nel primo caso il disponente non realizza alcuna plusvalenza (imponibile) dato che a fronte del trasferimento della partecipazione esso non riceve alcuna somma di denaro, bene o diritto come controprestazione.
Qualora invece il disponente detenesse tali beni in regime di impresa, il trasferimento di partecipazioni in trust comporta, ai sensi dell’art. 86, comma 1, TUIR, il realizzo di un capital gain, dato dalla differenza tra il valore di mercato della partecipazione (determinato con i criteri dettati dall’art. 9 TUIR) e il costo fiscale della medesima e quindi assoggettabile a tassazione.
Il Trust pertanto realizza in tali casi dividendi provenienti dalla società di cui si detengono le partecipazioni ed eventualmente capital gain derivanti dalla cessione, anche parziale, delle partecipazioni da esso possedute, sicché oggi, in caso di cessione di partecipazione, sia qualificata che non, ad esso va applicata l'imposta del 26%.
Questo strumento è dotato di un’autonoma soggettività tributaria e ad esso si applica l’imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali e cioè l’IRES.
Qualora il disponente decida di trasferire nel trust unicamente la nuda proprietà della partecipazione, riservandosi l’usufrutto sulla medesima o su parte di essa, il regime fiscale del dividendo distribuito dalla società graverà sul disponente.
Pare necessario ricordare che l’amministrazione finanziaria ha posto alcuni veti al conferimento in Trust di partecipazioni in tutti quei casi in cui:
  1. il disponente (o il beneficiario) può, a suo insindacabile giudizio, farlo cessare, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
  2. qualora il disponente è titolare del potere di designare se stesso come beneficiario;
  3. qualora il disponente (o il beneficiario) risulti, dall’atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso;
  4. qualora il beneficiario ha diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee;
  5. qualora il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato;
  6. qualora il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari;
  7. qualora il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati;
  8. ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari.
strumenti-di-tutela-del-patrimonio.pdf
 
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