Nei miei precedenti interventi ci siamo occupati di come sanare le somme detenute all’estero senza preoccuparci di quali sarebbero stati i riflessi sulle società dalle quali tali imponibili provengono.
Con l'allargamento della platea dei contribuenti interessati alla voluntary disclosure, effettuata dal legislatore, è ora possibile sanare anche la posizione delle società c.d. estero-vestite, ovvero quei soggetti (formalmente) di diritto estero, la cui direzione effettiva o il cui oggetto principale sia localizzato in Italia.
Con la nuova formulazione della procedura è stato infatti consentito:
1. il rimpatrio degli enti collettivi non residenti a rischio di contestazione in termini di residenza fiscale;
2. favorita l’adesione alla procedura del socio italiano di una società non residente, sanando le violazioni agli obblighi di monitoraggio, per ovviare a contestazioni di estero-vestizione.
Ricordiamo infatti che la società estera si considererebbe residente nel territorio dello Stato e soggetta a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali dell'ordinamento tributario, ivi compresi quelli in qualità di sostituto d'imposta.
Infatti, come indicato nella C.M. 4 agosto 2006, n. 28/E, gli effetti di più immediato impatto per le holding estero-vestite riguarderanno:
- i capital gain realizzati dalla cessione di partecipazioni da assoggettare al regime di imponibilità o di esenzione previsti dagli articoli 86 e 87 del Tuir;
- le ritenute da operare sui pagamenti di interessi, dividendi e royalties corrisposti a non residenti o sui pagamenti di interessi e royalties corrisposti a soggetti residenti fuori del regime di impresa;
- i dividendi provenienti da società residenti in stati a fiscalità privilegiata ed imponibili nella misura del 100 per cento.
Secondo l'orientamento ministeriale, ... i predetti soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi, interessi e royalty in uscita dall'Italia e potranno scomputare in sede di dichiarazione annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di imposta per il quale sono da considerare residenti, anche se - ad inizio - operate a titolo di imposta. |
RICOSTRUZIONE DEL REDDITO IMPONIBILE DELLE SOCIETÀ ESTERO-VESTITE
- In assenza di scritture contabili, l'Amministrazione finanziaria potrebbe applicare le disposizioni in tema di accertamento induttivo extracontabile ex art. 39, secondo comma, D.P.R. 600/1973, secondo cui il reddito d'impresa è determinato sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell'Ufficio.
- In presenza delle scritture contabili, l'Amministrazione finanziaria in base al principio della reciproca fiducia tra gli Stati membri e del mutuo riconoscimento dei bilanci redatti secondo le singole normative nazionali dovrebbe basare ogni considerazione sulle scritture contabili fornite dal contribuente con riconoscimento del credito per le imposte assolte all'estero, in via definitiva, sui proventi assoggettati ad imposizione anche in Italia.[1]
Nella procedura di
voluntary disclosure avente ad oggetto una società estero-vestita dovremo poi valutare l'impatto dell'
IVA relativa alle prestazioni intercorse tra il soggetto estero-vestito e l’operatore economico italiano.
Nei casi in cui il soggetto estero agisca in qualità di prestatore è il soggetto committente - giusta la regola generale di territorialità dei servizi di cui all'art.
7-ter del D.P.R. 633/1972 ad essere obbligato ad adempiere agli obblighi IVA mediante il sistema dell'inversione contabile.
Tuttavia, dal momento che il prestatore risulta non più un operatore economico estero, le summenzionate transazioni avrebbero dovuto sottostare al generale meccanismo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, per cui il soggetto passivo Iva avrebbe dovuto essere il prestatore estero-vestito e non il committente italiano.
Ciò potrebbe indurre l'Amministrazione finanziaria non solo a contestare al soggetto ex esterovestito una fattispecie di evasione di imposta - stante il mancato assolvimento dell'Iva -, ma anche ad irrogare sanzioni amministrative fra il 100 e il 200 per cento dell'imposta per la violazione degli obblighi inerenti la documentazione e la registrazione di operazioni imponibili.
Ricordiamo infatti che l’art.
60, comma 7, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che:
"
il contribuente ha diritto di rivalersi dell'imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione".
Secondo la C.M. 35/E/2013, la circostanza che la società estero-vestita non fosse titolare di partita Iva italiana negli anni oggetto di regolarizzazione,
non dovrebbe precludere l'addebito dell'Iva in via di rivalsa, né l'esercizio della detrazione da parte del committente, nella misura in cui il soggetto prestatore avrebbe dovuto assoggettare ad Iva le operazioni effettuate e, conseguentemente, il committente avrebbe avuto diritto alla detrazione dell'imposta.
STABILE ORGANIZZAZIONE
La
voluntary disclosure potrebbe poi essere utilizzata anche per far emergere una stabile organizzazione occulta di impresa non residente. In questo caso, ancor più che nelle fattispecie di esterovestizione, si pone la delicata problematica dell'attribuzione del reddito alla stabile organizzazione, la cui determinazione richiederà con ogni probabilità l'instaurazione di un contraddittorio con l'Ufficio,
con la conseguente perdita della definizione agevolata delle sanzioni amministrative ad 1/6.
Come già ricordato, la disciplina di collaborazione volontaria prevede la possibilità di sanare la violazione di obblighi fiscali a prescindere dalle condotte riferibili ad attività detenute all'estero.
E' quindi possibile autodenunciare al Fisco redditi non dichiarati oppure il mancato rispetto di adempimenti dichiarativi non riferibili alla disciplina del monitoraggio fiscale.
Potremmo infatti definire la procedura di regolarizzazione come
omnicomprensiva, poichè comprende le violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi (e relative addizionali), delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell'Irap e dell'Iva, nonché le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d'imposta, commesse fino al 30 settembre 2014.
La procedura deve riguardare tutte le violazioni tributarie relative ai periodi d'imposta ancora accertabili al momento di presentazione della domanda, per cui
non è ammissibile una regolarizzazione parziale limitata ad alcune tipologie di irregolarità o solo per alcune annualità.
Il contribuente che intende aderire alla voluntary disclosure dovrà quindi far emergere tutte le irregolarità commesse fino al 30 settembre 2014.
Ovviamente la convenienza di tale procedura andrà valutata in comparazione con l'istituto del ravvedimento operoso di cui all'articolo
13 del D.Lgs n. 472/1997, che potrà trovare applicazione anche con riferimento alle violazioni commesse in passato e non solo per quelle commesse a decorrere dall'anno 2015 poiché l’istituto è stato così riformato per consentire di regolarizzare tutte le annualità per le quali il potere di accertamento dell'Amministrazione finanziaria non risulti decaduto, anche laddove sia già stata contestata la violazione o siano intervenuti accessi, ispezioni e verifiche. Viene quindi superato il limite temporale - recato dal previgente art.
13 del D.Lgs. 472/1997 - del
"termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui la violazione è stata commessa", essendo ammissibile la sanatoria di violazioni tributarie commesse anche in annualità precedenti.
A differenza però della voluntary disclosure il contribuente non è tenuto a regolarizzare tutte le violazioni tributarie, ma può ravvedersi limitatamente ad alcune irregolarità o a singoli periodi d'imposta.
[1] Tale riconoscimento è rinvenibile nell’art. 2 del D.M. 429/2001, attuativo della disciplina delle c.d.
Controlled foreign companies, il quale assicura valenza alle risultanze del bilancio estero a condizione che quest'ultimo sia redatto in conformità alle regole bilancistiche dei precedenti esercizi o che ne sia attestata la congruità da una società dotata dei requisiti necessari ai fini del controllo contabile.