A fornte di un vero proprio accerchiamento dell'amministrazione finanziaria dei contribuenti che non hanno regolarizzato le attività finanziarie detenute all'estero, (da ieri è in vigore anche l'accordo per lo scambio automatico di informazioni con Hong Kong, dal prossimo mese di luglio entreranno in vigore gli accordi con Panama per la ratifica della Convenzione multilaterale per la mutua assistenza ai fini fiscali, lo scorso 3 novembre 2016 è stato firmato un accordo bilaterale per lo scambio automatico delle informazioni con Sigapore), si fa sempre più insistente la richiesta di regolarizzazione di contanti, procedura già prevista nella versione iniziale del D.L. n. 193/2016.
Invero nella precedente voluntary disclosure tale tipo di regolarizzazione era stata codificata dalla prassi dell'amministrazione finanziaria, (mi riferisco all’obbligo di redigere un verbale notarile di apertura ed inventario del contenuto delle cassette di sicurezza, il rilascio di dichiarazione scritta relativa all’origine dei valori ed il deposito degli stessi presso intermediari finanziari abilitati), regolarizzazione che non aveva però trovato grande successo tra i contribuenti forse proprio a causa dell'assenza di una precisa regolamentazione legislativa che invece ora espressamente prevede:
Inoltre, il legislatore ha in sede di conversione, stabilito che i contanti ed i valori al portatore oggetto della procedura, si presumono costituiti da proventi sottratti a tassazione e conseguiti, per quote costanti, nell’annualità 2015 e nelle quattro precedenti,consentendo così, sotto il profilo dell’aliquota marginale applicabile in ciascun periodo di imposta, una riduzione del carico fiscale.
Ciò che non è stato detto è che la procedura di regolarizzazione prescritta, fondandosi su di una presunzione, lascia la possibilità, al contribuente, di fornire la prova contraria circa la formazione delle somme. In altri termini è possibile dimostrare che i contanti siano stati già tassati o che non siano più imponibili, per l'intervenuta decadenza dal potere di accertamento o perchè la provvista è relativa a somme già oggetto di tassazione oppure ancora perchè relativa a proventi non imponibili in Italia.
E' quindi possibile proporre, nella relazione di accompagnamento, o in un’eventuale fase del contraddittorio, una specifica ricostruzione della formazione della provvista onde evitare di farla concorrere alla determinazione del proprio reddito IRPEF oggetto di regolarizzazione, seppure con il frazionamento quinquennale previsto dalla norma.
Attenzione però a non avveturarvi in superficiali e fantasiose ricostruzioni perchè qualora il contribuente non spieghi l’origine delle attività oggetto di regolarizzazione, potrebbero scattare le segnalazioni all'autorità giudiziaria per le opportune valutazioni del caso.