La Corte di Cassazione con la sentenza n.1011/2018 si è occupata del conferimento di un immobile gravato da passività, con accollo alla società conferitaria, e cessione di quote sociali ottenute dai conferenti, affermando che l’art. 20 del DPR n. 131/1986 non è disposizione diretta al recupero di imposte eluse, perché l’istituto dell’abuso del diritto è disciplinato dall’art. 10 bis della L. 212/2000.
Insomma secondo la Corte, il potere di riqualificazione, disciplinato dall’art. 20 del DPR n. 131/1986, è cosa diversa dalla simulazione, atteso che la riqualificazione avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel collegamento negoziale, rilevando a tali fini, solo gli effetti oggettivamente prodotti (Cassazione 3562/2017).
In sostanza, valorizzando il collegamento funzionale tra gli atti, i giudici di piazza Cavour hanno convalidato l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, che aveva riqualificato la sequenza negoziale sopra indicata in cessione di immobile.
Come noto, tale potere di riqualificazione degli atti, è stato ridimensionato dall’art. 1, comma 87, lett. a) della legge 205, precludendo alla amministrazione finanziaria di ricercare aliunde gli elementi da porre a fondamento dell'accertamento ed inoltre, gli effetti della novella normativa opererebbero solo per il futuro (si vedano le sentenze della Cassazione nn. 2007, 2009 e 4590 del 2018; in senso opposto la C.T. Prov. Reggio Emilia n. 4/2/2018).
In altri termini la decadenza dalla facoltà di accertamento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, coinciderebbe con il triennio indicato dall’art. 76 del DPR 131/1986, termine decorrente dalla data di registrazione dell’ultimo atto registrato, (normalmente la cessione delle quote sociali).
Ma torniamo al potere di riqualificazione degli atti portati alla registrazione e segnatamente degli immobili trasferiti mediante conferimento di ramo d'azienda, per questi, la Suprema Corte,ritiene che non sia legittimo l’atto di mutuo, oggetto di accollo da parte della società, nonostante l’elemento presuntivo contrario costituito dalla sua anteriorità rispetto alla costituzione della società. (Cassazione nn. 23234, 23239 del 2015).
Nella sentenza n. 14999 del 2018 la Cassazione ha ribadito insomma che la modifica all’art. 20 operata dalla L. 205/2017, decorre dal 2018, non avendo natura interpretativa, ma innovativa e gli atti antecedenti alla sua entrata in vigore continuano ad essere assoggettati a imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione del citato art. 20, dando così rilevanza al collegamento negoziale (ex pluris, Cassazione nn. 4590 e 8619 del 2018).
L’operazione analizzata dagli ermellini si fondava sulla contestazione dell’ufficio che riteneva fossero stati conferiti singoli beni piuttosto che un ramo d’azienda e secondo i Giudici, allorquando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, in modo che la causa di ciascuno di essi possa ritenersi funzionale ad un programma negoziale che la trascende, ciò che deve essere valutato è la causa concreta dell’operazione complessiva, (interessi effettivamente perseguita dai contraenti).
Secondo i Giudici, insomma, la nozione di azienda, deve essere valorizzata dalla unitarietà del complesso di beni organizzati e trasferiti con l’atto di conferimento ed è questo il punto saliente e cioè la valorizzazione della organizzazione aziendale quale elemento principe ed essenziale a cui riferirsi, onde poter beneficiare dell’imposta di registro in misura fissa.