La
Commissione Tributaria Provinciale di Treviso con la
sentenza n. 401/2/16 del 17.10.2016 ha ritenuto deducibili i costi relativi a fatture per servizi parametrati al fatturato, (
l'uso dell'immobile oltre all'utilizzazione di tutte le strutture necessarie per l'attività del professionista nonché la gestione e l'aggiornamento dei software e dei programmi operativi, la pulizia dei locali, l'addestramento ed organizzazione del personale, l'elaborazione dei dati contabili, l'erogazione dei servizi amministrativi, la tenuta della contabilità, l'archiviazione informatica).
Il fattore scatenante della verifica era stata la quota di partecipazione, riconducibile al commercialista ed a sua moglie avvocato, nella società erogatrice dei servizi, ma al fine di trovare elementi di conforto a quanto praticato, (quasi tutti gli studi professionali sono supportati da un centro elaborazione dati), leggiamoci la sentenza nella sua integralità con un occhio attento alla condanna alle spese
Fatto e Diritto
Il ricorrente impugna l'avviso di accertamento per IRPEF - IRAP - IVA, relativo all'anno di imposta 2010, ricevuto dall'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Treviso, con cui vengono disconosciute la deduzione di costi e servizi, prestazioni ricevute e compenso lavoratori. Eccepisce la violazione del contraddittorio, la mancata valida sottoscrizione della firma posta sull'avviso, l'infondatezza della ripresa, l'errata applicazione delle sanzioni. Conclude per la dichiarazione di nullità o illegittimità, totale o parziale, dell'avviso di accertamento e con la condanna dell'Agenzia delle Entrate al rimborso delle spese eventualmente percette nelle more del processo. Spese rifuse. Resiste l'Ufficio assumendo l'infondatezza delle eccezioni preliminari formulate e nel merito confermando quanto esposto nell'avviso di accertamento. Conclude per il rigetto del ricorso, con ripetizione delle spese di lite.
Il Collegio osserva.
Le eccezioni preliminari del ricorrente sono infondate.
Quanto alla violazione del contraddittorio, occorre evidenziare che nel caso non vi è stato l'accesso dell'Ufficio presso la sede del contribuente e l'atto impugnato è stato preceduto dalla notifica di invito al contraddittorio e da due incontri tra le parti in data 18.11.2015 ed in data 4.12.2015, ben prima, dell'emissione dell'avviso di accertamento, in data 24.12.2015.
Tali assunti non sono stati contestati dal ricorrente per cui ex art. 115 c. 1 c.p.c., configurano fatti che assumono nel processo valenza di prova. Giova ricordare che gli stessi ultimi arresti del nostro Giudice di legittimità, richiamando il dato testuale della Legge 212/00 art.12 c. 7 ed il principio già esposto dalle Sezioni Unite (sentenza 24823/2015), hanno evidenziato che la limitazione della garanzia alla sola verifica in loco è da ritenersi "
non irragionevole" in quanto giustificata dalla peculiarità di tali verifiche "caratterizzate dalla autoritativa intromissione dell'Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente, alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli, peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell'interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali. Tale peculiarità, stante le due diverse ipotesi ("in loco" e "a tavolino") giustifica il differente trattamento normativo di esse (1). La ricorrente ha genericamente, eccepito la carenza di potere dell'organo che ha sottoscritto l'avviso di accertamento. L'Ufficio ha chiarito, senza alcuna opposizione da parte del ricorrente, che l'atto risulta sottoscritto dal Direttore Provinciale, Eugenio A., che appartiene al ruolo dei dirigenti.
Nel merito il ricorso è fondato e va accolto. Va innanzitutto evidenziato che
l'Ufficio disconosce la deduzione dei costi ritenendo che le corrispondenti prestazioni siano oggettivamente inesistenti. Secondo l'Ufficio, il solo disconoscimento comporterebbe l'inversione dell'onere della prova per il contribuente, al quale spetterebbe di dimostrare l'effettiva prestazione e l'effettivo costo sopportato. Nella realtà, al di là della ondivaga opinione della Cassazione (2), ritiene il Collegio che spetti all'Ufficio almeno fornire gli elementi indiziari attendibili sulla inesistenza delle operazioni contestate onde consentire, da una parte al contribuente di poter offrire elementi contrari e dall'altra al giudicante di porre, a fondamento della sua decisione, i riscontri offerti dalle parti.
Nel caso il Collegio ritiene che
l'Ufficio si sia limitato a contestare i costi dedotti adducendo che la documentazione fiscale prodotta dalla parte non è dirimente e, in generale, una carenza probatoria da parte del ricorrente. Ma, a fronte di un tale comportamento dell'Ufficio, di generica contestazione, i costi di cui alla documentazione fiscale offerta dal ricorrente appaiono legittimi e quindi deducibili.
Il ricorrente ha stipulato con la società _________ S.r.l.
un contratto in base al quale quest'ultima concede al predetto l'uso dell'immobile oltre all'utilizzazione di tutte le strutture necessarie per l'attività del professionista nonché la gestione e l'aggiornamento dei software e dei programmi operativi, la pulizia dei locali, l'addestramento ed organizzazione del personale, l'elaborazione dei dati contabili, l'erogazione dei servizi amministrativi, la tenuta della contabilità, l'archiviazione informatica.
Il prezzo risulta convenuto nel 20% del fatturato professionale dell'utilizzatore.
Nel contratto si precisa che l'importo, compreso nel prezzo contrattuale, riferito alla locazione immobiliare, risulta pari ad € 48.000,00 oltre IVA. Il ricorrente, nell'anno di riferimento, ha dedotto complessivamente € 222.801,30, relativi a servizi resi a soggetti terzi, di cui € 218.201,00 per fatture emesse dalla predetta società. L'Ufficio disconosce la deduzione ritenendo ingiustificato l'importo, tenuto conto che il professionista già paga per i dipendenti un ulteriore importo, oltre ai costi per altro personale e
la società è una società con soci lo stesso professionista e la moglie. Secondo, l'Ufficio l'operazione sarebbe quindi posta in essere dal contribuente per avere un risparmio di imposta tenuto conto che per il proprio reddito pagherebbe l'aliquota del 43%, mentre la società ALFA S.r.l. è tassata nella misura del 27,50%. Le motivazioni svolte dall'Ufficio, a fronte della documentazione dimessa dal ricorrente, non appaiono fondate su elementi da cui trarre la sussistenza di una operazione elusiva da parte del ricorrente, al di là di un sospetto (si pensi ai soci della società), che però da solo non può giustificare l'indeducibilità del relativo costo. Infatti le prestazioni della società, contestate solo genericamente dall'Ufficio, appaiono complesse, onerose, impegnative ed il prezzo ragguagliato ad una percentuale del fatturato circoscrive il relativo onere alla necessità dell'attività professionale. Il relativo costo appare quindi inerente all'attività del contribuente poiché, risulta servire a produrre ricavi (3). Il ricorrente ha dedotto l'importo complessivo di € 210.600,00, quali compensi ai collaboratori nell'espletamento della propria attività. L'Ufficio ha disconosciuto gli importi dedotti assumendo che la Sig.ra B. Maria Rosa (€ 78.000,00) è la moglie del ricorrente e quanto a R. Diego, N. Laura e C.B.(€ 132.600,00) non risultano dettagli in relazione alle loro prestazioni. Come esposto dal ricorrente e non contestato dall'Ufficio,
la Sig.ra B. Maria Rosa è un avvocato per cui le sue competenze sono sicuramente compatibili con l'attività del marito commercialista. L'Ufficio assume che - a stregua di quanto disposto dall'art. 54 c. 6 bis TUIR - è stabilita l'indeducibilità dei compensi corrisposti dal professionista a fronte del lavoro prestato dal coniuge. La norma stabilisce che non sono ammesse deduzioni per i compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età e permanentemente inabili al lavoro, nonché agli ascendenti dell'artista o professionista ovvero dei soci o associati per il loro lavoro prestato o l'opera svolta nei confronti dell'artista o professionista ovvero della società o associazione. Peraltro tale norma non è applicabile nei confronti del familiare, lavoratore autonomo (nel caso professionista con partita IVA) come risulta dalla lettura della norma stessa. Quanto agli altri tre commercialisti sopra indicati essi appaiono all'evidenza esercenti attività compatibile con quella del ricorrente. Non risultano elementi proposti dall'Ufficio che possano inficiare le operazioni contabili che li riguardano e del resto i compensi dichiarati dal ricorrente, riportati dallo stesso Ufficio, giustificano l'attività dei collaboratori esterni. Giova ricordare infine che l'art. 230 ter c.c.
(Diritti del convivente), introdotto con l'art. 46 della L. 20.5.2016 n. 76, nel riconoscere anche al convivente i diritti spettanti in caso di impresa familiare, ha disposto che essi diritti non spettano qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato. Ritiene il Collegio che tale norma abbia praticamente abrogato l'art. 54 c. 6 bis DPR 22.12.1986 n. 917 relativamente ai coniugi non potendosi ritenere una discriminazione normativa tra i coniugi ed i conviventi. Da quanto sopra ne consegue la legittimità della deduzione di tali costi operata dal ricorrente.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso,
condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio liquidate complessivamente in € 12.269,75.
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Note:
1. Si veda ord. Cass. 26/5816 n. 1093 e Cass. Civ., Sez. V, 27.5.2016 n. 10988.
2. Cass. 4454/10 - 23065/2015
3. Si veda Cass. Civ., Sez. Trib., 18.2.2015 n. 3198.