RW: TORRE D'AVORIO E RADDOPPIO DEI TERMINI (FORMAT)
CONSULENZA TRIBUTARIA, SOCIETARIA E DEL LAVORO

RW: TORRE D'AVORIO E RADDOPPIO DEI TERMINI (FORMAT)

03 FEB 2018

ALL’AGENZIA DELLE ENTRATE

DIREZIONE PROVINCIALE DI ___________

UFFICIO CONTROLLI

VIA _____________ (____________) 

****
 

MEMORIA ALL’AVVISO DI ACCERTAMENTO

n. _________________ per l’anno 2009

Nell’interesse del Sig. ________________________, nato ______________ il ______________________ e residente a _________________________, in ________________________________, C.F. ____________________________, rappresentato, difeso ed assistito, giusta procura speciale in calce al presente atto, dal Dott. Fabrizio Dominici, (C.F. DMN FRZ 64A01 H282S), iscritto al n. 455/A dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili della Circoscrizione del Tribunale di Rimini, posta elettronica certificata f.dominici@pec.it, contribuente elettivamente domiciliato presso lo Studio Legale e Tributario Dominici & Associati, in Rimini, alla Via Marecchiese n. 314/D – 47922 (Telefax n. 0541.1795222).
FATTO
  1. In data ________________, la Guardia di Finanza _________________ avviava un controllo nei confronti del Sig. _________________ diretto a verificare l’adempimento delle disposizione contemplate nella normativa tributaria;
  2. Tale verifica scaturiva dalle risultanze istruttorie relative all’operazione denominata “Torre d’avorio” e più precisamente dalle segnalazioni relative alle movimentazioni finanziarie effettuate con la Repubblica di San Marino;
  3. … OMISSIS
Tutto ciò premesso,
il contribuente, come retro identificato ed assistito, sottopone a codesto spettabile Ufficio le proprie
OSSERVAZIONI
con riserva di ulteriormente dedurre a contrasto della pretesa tributaria e con specifico invito a tenerne conto in sede istruttoria anche ai fini dell’applicazione dei principi di autotutela previsti e disciplinati dall’art. 2 quater della Legge 30 novembre 1994, n. 656 e dal relativo regolamento di attuazione di cui al D.M. 11 febbraio 1997 n. 37.
  1. SULLA DECADENZA DELL’UFFICIO DAL POTERE DI RETTIFICARE L’ANNUALITÀ 2009
In via preliminare si lamenta la decadenza dell’Ufficio dal potere di rettificare, l’annualità d’imposta 2009. L’Ufficio ritiene di poter fondare la pretesa sulla base delle modifiche introdotte dal comma 2 bis dell’art. 12 del D. L. n. 78 del 2009, in base alle quali è stato inserito il c.d. raddoppio dei termini per l’accertamento, in relazione alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato e quindi in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale.
Il fondamento della pretesa dell’Amministrazione finanziaria risiederebbe nella “ritenuta” individuazione della natura procedurale del Decreto Legge n. 78 del 01/07/2009, che ne autorizzerebbe l’applicazione con efficacia retroattiva e cioè anche alle annualità antecedenti alla data della sua entrata in vigore.
Preme rammentare come le norme tributarie in generale e quindi anche tale norma, non possano avere efficacia retroattiva, poiché, ammettendo l’efficacia retroattiva della predetta disposizione, verrebbero irrimediabilmente lesi i principi di derivazione costituzionale del legittimo affidamento e della certezza del diritto.
Una lettura costituzionalmente orientata, esclude pertanto qualsiasi possibilità di applicazione della norma con effetti retroattivi e ciò perché da una parte l’art. 11 delle Preleggi al codice civile stabilisce che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo” e dall’altra perché l’art. 3, comma 1, dello Statuto dei diritti del Contribuente, stabilisce che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, fatti salvi i casi eccezionali delle norme interpretative ex art. 1, comma 2, dello stesso Statuto. Tali principi hanno trovato pieno accoglimento nella giurisprudenza di legittimità che a più riprese e da tempo ne ha sancito l’irretroattività[1].
In particolare con la sentenza n. 25722 del 2009, la Suprema Corte ha stabilito che in materia fiscale vige il principio generale di irretroattività delle norme, salvo che non sia la legge stessa a disporre diversamente ed in merito al c.d. raddoppio dei termini, nessuna deroga è stata prevista dal legislatore, prevedendo invece espressamente che il provvedimento citato “…entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana…”.
Inoltre rammentiamo che “i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti d’imposta non possono essere prorogati” e che l’art. 1, co. 1, legge 212 del 2000 prevede che le norme dello Statuto dei diritti del contribuente “possono essere derogate solo espressamente e mai da leggi speciali” e la normativa in questione non reca alcuna espressa deroga a detta disposizione.
La Commissione Tributaria Regionale di Venezia con la sentenza n. 419 del 22 marzo 2017, nel rigettare l’appello proposto dall’Ufficio si è soffermata sull’applicabilità retroattiva dell’art. 12 del D. L. 78 del 2009 osservando che “il Legislatore non si è espresso sulla retroattività della disposizione. La locuzione "in deroga ad ogni vigente disposizione di legge", non si riferisce infatti all'ambito temporale della norma, bensì al fatto che viene introdotta, appunto, in deroga ad ogni vigente disposizione, una presunzione legale secondo cui gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute in Stati a regime fiscale privilegiato siano costituite, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione.” La Commissione è andata quindi ad affermare come risulti impossibile ipotizzare l’efficacia retroattiva di tale norma in quanto “deve qualificarsi alla stregua di norma "sostanziale" la cui applicazione retroattiva è vietata dall'art. 3 dello "Statuto del contribuente".”
Conformemente si è recentemente espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Pavia con la sentenza n. 222 del 08 agosto 2017 in cui ha affermato “che l’art. 12 del D. L. 78 del 2009 (…) sia disposizione meramente procedurale e non anche di natura sostanziale è difficilmente sostenibile: le norme sulle prove pongono regole di giudizio e come tali hanno pure natura sostanziale. (…) Una volta chiarito che la disposizione dell’art. 12 del D.L. n. 78/2008 ha natura non meramente procedurale, ma anche sostanziale, risulta agevole escluderne l’applicabilità retroattiva”; la Commissione Tributaria Regionale di Venezia con la citata sentenza n. 419 del 22 marzo 2017, la Commissione Tributaria Provinciale di Genova con la sentenza n. 1110 del 5 maggio 2016, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano che con la sentenza n. 4350 del 27 giugno 2017 ha specificato che la “presunzione (…) introdotta dall'art. 12, c. 2 D. L. n. 78 del 2009, è da ritenersi inapplicabile alle annualità .pregresse rispetto alla sua entrata in vigore non potendo avere efficacia retroattiva. Per tale ragione risulta altresì inapplicabile il raddoppio dei termini operato dall'Ufficio in virtù della stessa presunzione” e la Commissione Tributaria Provinciale di Mantova con la sentenza n. 100 del 13 maggio 2016, in cui ha affermato che “l'art. 12 del D.L. n. 78 del 2009 non è una norma meramente procedimentale ma norma speciale tributaria di natura sostanziale” infatti prosegue specificando che l’art. 12 del D. L. 78/2009 “ha natura sostanziale perché il contribuente può vincere la presunzione disciplinata dalla norma fornendo prova che i redditi accertati non siano proventi di evasione fiscale, e quindi non può essere tenuto a precostituirsi una prova in tal senso nel momento in cui la legislazione vigente non preveda ancora quest'onere. Pertanto in assenza di una previsione esplicita, la presunzione contenuta nell'articolo 12 non può applicarsi retroattivamente”. I giudici mantovani hanno così ribadito come “l'inciso contenuto nella disposizione in esame (…) svolge una funzione di garanzia, contrapponendo al potere di operare per presunzioni conferito all'Ufficio la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria sicché, trattandosi di "disposizione sulla prova" (…) essa è pacificamente di natura sostanziale. E' stato giustamente sottolineato che osta, all'applicazione retroattiva di una norma che pone a carico del contribuente un onere di dimostrazione che presuppone l'obbligo di conservazione da parte sua di documentazione atta a comprovare la provenienza delle somme poi investite in Paesi a fiscalità privilegiata, il fatto che, prima della sua entrata in vigore, un obbligo conservazione siffatto non era normativamente previsto.” I Giudici hanno poi evidenziato come l’art. 3 della L. 27 luglio 2000 n. 212 ponga a garanzia del contribuente il principio di non retroattività delle norme specificando che in assenza di una precisa disposizione derogatoria (…) non solo l'applicazione della presunzione legale di cui al secondo comma dell'art. 12, ma anche la proroga ed il raddoppio dei termini per l'accertamento previsti dai commi 2 bis e 2 ter della disposizione, (…) riferendosi esclusivamente agli accertamenti basati sulla suddetta presunzione di evasione di cui al citato secondo comma dell'art. 12 del D. L. n. 78 del 2009, non possa che trovare applicazione a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della norma (e cioè dal 2010).”
Da quanto sopra non può che concludersi per la non applicabilità della disposizione in oggetto riconoscendo, quindi, l’ormai avvenuta decadenza dell’Ufficio dal potere di agire per il recupero delle somme pretese.
A conforto di tale orientamento sovviene la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Milano che con la sentenza n. 872 del 6 marzo 2017, ha confermato la decisione di primo grado (CTP Milano n. 9234/2015). La sentenza richiamando le sentenze di legittimità in precedenza citate in relazione all’applicazione dell’art. 3 della L. 212 del 2000 e dell’art. 11 delle Preleggi al codice civile, ha avuto modo di chiarire che “i principi giuridici cui deve ispirarsi l’esame e la soluzione della controversia, premettendo in punto di fatto, che la norma applicata dal Fisco non prevede espressamente la sua efficacia retroattiva; di seguito hanno specificato come l'art. 3 della L. n. 212 del 2000 dispone che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, sottolineando che tale dettato non fa altro che ribadire il principio generale fissato dall'art. 11 delle disposizioni della legge in generale che detta che “la legge non dispone che per l'avvenire; essa non ha effetto retroattivo”.
In coerenza con tali norme, il Giudice di legittimità ha più volte affermato che “In tema di efficacia nel tempo, in base all'art. 3 L. n. 212 del 2000, va esclusa l'applicazione retroattiva delle norme tributarie, salvo che la retroattività sia espressamente prevista dalla legge della cui applicazione si controverte (cfr. Cass. N. 25722/2009, Cass. N. 5057/2011, Cfr. Cass. N. 11141/2011 cfr. Cass. N. 5015/2003).”
La medesima Commissione Tributaria Regionale di Milano con le sentenze n. 692 e 693 del 23 febbraio 2017 ha inoltre accolto l’eccezione sollevata dalla contribuente in merito all’inapplicabilità retroattiva dell’art. 12 del D. L. 78 del 2009 affermando che “la norma in oggetto ha carattere sostanziale, atteso che, prima di questa norma, tali somme non erano tassabili come redditi sottratti a tassazione in Italia. Tale natura sostanziale e non meramente processuale impedisce l'applicazione retroattiva della norma”. Successivamente i giudici milanesi hanno sottolineato “che l'art. 12 del D. L. n. 78 del 2009 sia una norma di natura sostanziale e non già meramente procedurale risulta pacifico dal fatto che tale disposizione stabilisce una presunzione legale di evasione, con inversione dell'onere della prova in capo al contribuente. Le norme sulle "prove" pongono regole di giudizio e, come tali, hanno sempre natura sostanziale, poiché la loro applicazione comporta una decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda” e di conseguenza sono andati ad affermare che “una volta chiarito che la norma dell’art. 12 del D. L. n. 78 del 2009 citato ha natura sostanziale, risulta evidente la sua inapplicabilità retroattiva”.
Secondo i Giudici l’applicazione retroattiva della citata normativa violerebbe fondamentali principi costituzionali, quali quello della certezza del diritto e del legittimo affidamento (ex art. 3 della Costituzione), quello della ragionevolezza (ex art. 3 della Costituzione), nonché quello del diritto alla difesa (ex art. 24 della Costituzione).
Infatti se le disposizioni normative prevedevano che quanto dichiarato per tale anno poteva essere rettificato entro il 31 dicembre del quarto anno successivo (quinto anno nel caso in cui la dichiarazione sia stata omessa, per il 2009 entro il 31 dicembre 2015), va da sé che in ciascun contribuente sia sorta inevitabilmente la legittima e lecita convinzione di dover attendere fino a tale termine, ma non oltre, per poter subire una contestazione erariale riferita a tali annualità. In altri termini, nel contribuente è sorta la certezza legittima – in quanto fondata su un atto tipico del Legislatore, ossia una norma di legge – che, trascorso il 31 dicembre 2015, nessuna contestazione erariale avrebbe potuto riguardare l’anno 2009. Pertanto, qualora una legge avesse inteso modificare tali termini, addirittura raddoppiandoli, è chiaro che ciò non possa non scalfire illegittimamente, l’affidamentoper l’appunto legittimo – che il contribuente aveva riposto nella situazione legislativa in vigore al momento di riferimento.
Queste considerazioni trovano conforto in una rilevante pronuncia della Corte di Cassazione che: , nell’affrontare il problema dei limiti alla efficacia retroattiva delle leggi interpretative, la Corte costituzionale, in alcune recenti pronunce (cfr. sentt. nn. 211 del 1997, 416 del 1999 e 525 del 2000, peraltro già anticipate, tra altre, dalle sentt. nn. 349 del 1985, 822 del 1988 e 390 del 1995), li ha individuati - oltreché in quello previsto esplicitamente per la materia penale (art. 25 comma 2 Cost.) - in quelli “che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali, tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto nella certezza dell’ordinamento giuridico, e quello delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”; ed ha precisato, in particolare, che quello “sull’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica [è] principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetto retroattivo che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti” (tali espressioni sono tratte dalla sentenza 525 del 2000, n. 2 del Considerato in diritto, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 comma 1 Cost., dell’art. 21 comma 1 della legge 13 maggio 1999 n. 133, nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l’efficacia della interpretazione autentica, da essa dettata, dell’art. 38 comma 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, “poiché in questo modo è stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali”: cfr. n. 3 del Considerato in diritto).” Cass., Sez. trib., n. 17576 del 10 dicembre 2002. Nell’arresto citato, i giudici di legittimità hanno tra l’altro evidenziato che le disposizioni dello Statuto del contribuente costituiscono i principi generali dell’ordinamento tributario, diretti a presiedere allo svolgimento dei rapporti tra Fisco e Contribuente, con evidente finalità di garanzia per il Contribuente medesimo. In sostanza, tali disposizioni rappresentano il “codice di condotta” vigente in materia fiscale, così come risulta dal dettato dell’art. 1 dello Statuto, secondo il quale, le norme ivi contenute hanno (i) natura attuativa di disposizioni costituzionali, (ii) natura di principi generali dell’ordinamento tributario e (iii) non possono essere derogate o modificate tacitamente o mediante leggi speciali. E tra questi principi, come visto, specificamente all’art. 3, co. 3, della legge n. 212 del 2000, vi è per l’appunto anche il divieto di prorogare “i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti d’imposta”.
Pertanto, non pare davvero esservi dubbio alcuno sul fatto che le disposizioni in esame, se applicate retroattivamente non possano non violare il principio della certezza del diritto, del legittimo affidamento e, conseguentemente, della ragionevolezza e del diritto alla difesa e, pertanto, o non possono trovare applicazione per l’annualità che ci occupa.
Non va peraltro sottaciuto, che “i principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto fanno parte dell'ordinamento giuridico comunitario. Pertanto essi devono essere rispettati dalle istituzioni comunitarie” (sentenza 14 maggio 1975, causa 74/74, C./Commissione, Racc. pag. 533), “ma parimenti dagli Stati membri nell'esercizio dei poteri che conferiscono loro le direttive comunitarie” (sentenza cit. B., punto 26, e S., punto 44; in tal senso, sentenza 11 luglio 2002, causa C62/00, M. & S., Racc. pag. I6325, punto 44) (così Sentenza Corte di Giustizia Comunità europea, sez. V, 29-04-2004, n. C-487/01 e n. C-7/02). Di conseguenza, applicando retroattivamente la normativa sul c.d. raddoppio dei termini, oltre alle norme di rango costituzionale, verrebbero, altresì, lesi principi di ordine comunitario, ai quali gli ordinamenti di tutti i Paesi membri devono necessariamente conformarsi.
Difatti, seguendo alcuni principi ermeneutici recentemente indicati dalla Corte di Cassazione (ex multis, Cass., Sez. trib., n. 8772 del 4 aprile 2008), è lecito sostenere che i principi fondamentali del diritto comunitario (tra cui, per l’appunto, quello della certezza del diritto e del legittimo affidamento) debbano ritenersi generalmente vincolanti. L’assunto, a ben vedere, è ampiamente condivisibile, specie se lo si esamina attraverso il dettato normativo recato dall’art. 10 del Trattato CE, che impone, agli Stati aderenti alla Comunità europea, di assumere tutte le misure necessarie per recepire, fattivamente, le normative comunitarie e, conseguentemente, i principi fondamentali sui quali la Comunità europea si regge. Ecco perché è lecito sostenere che l’inapplicabilità retroattiva della normativa “sul raddoppio dei termini di accertamento” trova una giustificazione anche “comunitaria”.
OMISSIS ...
 
[1] Cfr. Corte di Cassazione n. 11274 del 2001; Corte di Cassazione n. 7080 del 2004; Corte di Cassazione n. 25722 del 2009.
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