PRESTAZIONI DI CHIRURGIA ESTETICA SENZA IVA
CONSULENZA TRIBUTARIA, SOCIETARIA E DEL LAVORO

PRESTAZIONI DI CHIRURGIA ESTETICA SENZA IVA

25 GEN 2020
L'amministrazione finanziaria ha avviato una consistente attività di controllo nei confronti dei medici che si occupano di chirurgia estetica, contestando l'assoggettamento ad IVA delle prestazioni non tipicamente riferibili alle patologie mediche e cioè in tutti i casi in cui le prestazioni effettuate siano qualificabili come prestazioni meramente estetiche.​
Cominciamo con l’affermare che nonostante il tempo trascorso dall’introduzione dell’IVA, né l’amministrazione finanziaria né i giudici si sono occupati in maniera compiuta della vicenda.
Invero a me parrebbe che nella normativa non sia rinvenibile un principio in base al quale alle operazioni di chirurgia estetica o ai trattamenti di carattere estetico debba essere negata l’esenzione da IVA, ma andiamo con ordine ed analizziamo la documentazione disponibile.
Secondo il pensiero dell'amministrazione finanziaria, le prestazioni estetiche rientrano nel regime di esenzione iva di cui all'art. 10 n. 18 del DPR 633/72 tutte le volte in cui siano “ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona” (circolare n. 4/2005).
Secondo la Commissione tributaria provinciale di Ravenna, sentenze 9/1/18 del 08.01.2018 e n. 432 del 14 dicembre 2017, le prestazioni di medicina e di chirurgia estetica beneficerebbero dell’esenzione IVA anche nel caso in cui abbiano una finalità preminentemente estetico-cosmetica.
Secondo la Corte di Giustizia (sentenza relativa alla causa C- 91/12 del 21 marzo 2013) invece le prestazioni di chirurgia estetica e i trattamenti di carattere estetico rientrano tra le “cure mediche” o “prestazioni mediche” alla persona, esenti da IVA ai sensi dell’art. 132 par. 1, lett. b) e c) della direttiva 2006/112/Ce, qualora tali prestazioni abbiano lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone. Secondo i Giudici europei insomma non godrebbero dell’esenzione, le prestazioni e gli interventi che rispondono a scopi “puramente cosmetici”.
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza n. 2328 del 2 ottobre 2018, ha chiarito che quando “non è in gioco la salute fisica o psichica, ma solo una personale esigenza estetica viene meno la giustificazione dell’esenzione IVA della prestazione”.
Quindi secondo il giudizio della Corte europea è necessario valutare se la prestazione “meramente estetica” non derivi da una patologia di ordine psicologico, esigenza che come detto, rientra a tutti gli effetti nel novero delle malattie a cui corrisponde l’esenzione IVA, questione non tenuta in debita considerazione dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.
Insomma, la situazione sembrerebbe essere così complessa da non lasciar apparire di certo una immediata soluzione, ma andiamo con ordine è cerchiamo allora di capire cosa fare nel caso in cui fossimo oggetto di una verifica da parte dell'amministrazione finanziaria.
Prima di tutto dovremo concentrarci non solo sulla natura della  prestazione svolta dal medico curante, ma rivolgere l’attenzione anche agli altri elementi costitutivi del processo e lo spunto può giungere proprio dalla sentenza di rigetto del ricorso del medico in appello di Bologna, che tra l'altro si è occupata dell'onere della prova che il medico avrebbe dovuto fornire in giudizio relativamente alla patologia sofferta dai pazienti.
Il medico ricorrente aveva infatti genericamente descritto le prestazioni  effettuate non consentendo ai verificatori di valutare la necessità o meno della terapia applicata.
Il rigetto del ricorso in appello è di fatto collegato all’onere, incombente sul contribuente, di provare la natura della prestazione: “precisare, cliente per cliente, in cosa era consistito il trattamento e perché lo si poteva considerare terapeutico”.
Secondo i giudici bolognesi insomma, il medico avrebbe dovuto provare e motivare che le prestazioni contestate fossero riferibili ad una patologia medica, magari producendo documentazione di supporto quale, la scheda paziente definita dai medici come anamnesi (la raccolta particolareggiata delle notizie che riguardano il paziente), le prescrizioni medicinali, i referti degli altri medici che avevano in precedenza visitato il paziente ecc ....
Il mio consiglio è diretto a ricordarvi che il processo tributario è un processo esclusivamente documentale onde per cui le “asserzioni” della amministrazione finanziaria, cadrebbero nel vuoto e non potrebbero di certo sostituirsi o contrastare le indicazioni medico specialistiche.
Infatti secondo il dettato dell’art. 2697 c.c. la terapia applicata, supportata dalla certificazione attestante la patologia medica, godrebbe, a mio giudizio, della esenzione di cui si discute e comunque in tali casi ben si potrebbe invocare la non applicazione di sanzioni stante l’evidente contrasto interpretativo.
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