CONSULENZA TRIBUTARIA, SOCIETARIA E DEL LAVORO
PRESTAZIONI DI CHIRURGIA ESTETICA SENZA IVA, SANZIONI E INTERESSI ANCHE PER IL PASSATO

PRESTAZIONI DI CHIRURGIA ESTETICA SENZA IVA, SANZIONI E INTERESSI ANCHE PER IL PASSATO

21 MAG 2023
Con una mozione presentata alla Camera il 20 maggio 2023 e sottoscritta da tutti i partiti della maggioranza, il governo prova a risolvere la questione dell'iva sulle operazioni di chirurgia estetica, che sta generando non poche preoccupazioni tra gli operatori sanitari, destinatari degli avvisi di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria. L'azione dell'amministrazione finanziaria fonda i propri presupposti sulla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea che ha stabilito che l'esenzione spetta alle sole prestazioni che hanno la finalità di diagnosticare, curare e, nella misura del possibile, guarire malattie o problemi di salute. Tale motivazione, cela, nella chiarezza della sua esposizione, numerose difficoltà applicative, che non possono essere semplicisticamente risolte, con l'analisi della documentazione fiscale, ma che necessitano di adeguati approfondimenti sulla documentazione clinica del paziente e sulle sue condizioni psico-fisiche. La ratio di questa esenzione risiede infatti nella volontà legislativa di ridurre i costi delle cure sanitarie e di renderle più accessibili ai contribuenti,[1]
LA GIURISPRUDENZA. L'art. 10, comma 1, n. 18), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che ha recepito la direttiva IVA, stabilisce che sono esenti “le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza”. Sotto il profilo soggettivo, l'esenzione è subordinata alla abilitazione all'esercizio della professione medica, mentre da un punto di vista oggettivo, la nozione di “prestazioni mediche”, contenuta nell'art. 132, lett. c), della Direttiva IVA, “riguarda prestazioni che hanno lo scopo di diagnosticare, di curare e, nella misura del possibile, di guarire malattie o problemi di salute”.[2] La stessa Corte ha poi precisato che: le “operazioni di chirurgia estetica” e i “trattamenti di carattere estetico”, rientrano nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche” alla persona “qualora tali prestazioni abbiano lo scopo di diagnosticare, curare, o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere e ristabilire la salute delle persone”, mentre non rientra in tali nozionil'intervento [che] risponde a scopi puramente cosmetici”, precisando e facendo rilevare che “… i problemi di salute affrontati dalle operazioni esenti (...) possono essere di ordine psicologico”,[3] e precisando che tale finalità terapeutica, non necessariamente deve “… essere intesa in un'accezione particolarmente rigorosa”. Tali principi, sono stati avallati dalla giurisprudenza di legittimità che ha ribadito che “in tema di IVA, le prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica si distinguono dalle prestazioni a contenuto meramente cosmetico e sono esenti di imposta, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, n. 18, nei limiti in cui sono finalizzate a trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici e, dunque, sono rivolte alla tutela della salute”.[4]
LA PRASSI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA. La prassi dell'amministrazione finanziaria è ancor oggi esclusivamente costituita dal chiarimento emanato a livello centrale dall'Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E del 28 gennaio 2005, con la quale l'Amministrazione finanziaria ha affermato che “Le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da IVA in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona. Si tratta di interventi tesi a riparare inestetismi, sia congeniti sia talvolta dovuti ad eventi pregressi di vario genere (esempio: malattie tumorali, incidenti stradali, incendi, eccetera), comunque suscettibili di creare disagi psico-fisici alle persone”. Recentemente la questione è stata oggetto di risposta ad interrogazione parlamentare, ove, nulla è stato innovato, ricordando la necessità di indentificare la presenza dei requisiti soggettivo e oggettivo che ne determinano l'esenzione e mostrando, nel contenuto, una sorta di pregiudizio verso determinate patologie.[5]
L'IMPOSSIBILITA' DI ESIGERE L'IVA PER IL PASSATO E LA NEGAZIONE DELLA RIVALSA. La tutela del legittimo affidamento impedisce all'autorità fiscale di esigere, l'imposta le sanzioni e gli interessi. È questo il verdetto contenuto nella sentenza della Corte di Giustizia del 14 dicembre 2006, nei procedimenti riuniti da C-181/04 a C-183/04, (Elmeka vs. Ypourgos Oikonomikon). La questione portata alla attenzione della Corte era diretta a comprendere se fosse consentito alla autorità amministrativa di esigere il tributo per il passato, qualora lo stesso non fosse stato addebitato all'utilizzatore finale, per via del convincimento generato dal comportamento dell'amministrazione finanziaria “… qualora la sua mancata ripercussione, per tale periodo, sulla controparte contrattuale da parte del debitore dell'imposta e, di conseguenza, il suo mancato versamento al fisco, siano dovuti alla convinzione del debitore che l'imposta non dovesse essere ripercossa e tale convinzione sia stata causata da un comportamento dell'amministrazione tributaria” (par. 10). Secondo la Commissione europea “il principio della tutela del legittimo affidamento non consente di esigere il pagamento a posteriori dell'iva che il soggetto passivo non ha ripercosso sulla sua controparte contrattuale durante gli esercizi controversi e non ha versato all'amministrazione tributaria, allorché il comportamento di quest'ultima nel corso di vari anni ha fatto sorgere nel soggetto passivo il legittimo convincimento di non essere tenuto a ripercuotere tale imposta” (par. 27). La Corte di Giustizia statuiva la non debenza del tributo, delle sanzioni e degli interessi, richiamando i principi in precedenza enunciati: “secondo costante giurisprudenza della Corte, i principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto fanno parte dell'ordinamento giuridico comunitario; pertanto, devono essere rispettati dalle istituzioni comunitarie ma anche dagli Stati membri nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie (par. 31). Le autorità nazionali sono perciò tenute a rispettare il principio della tutela del legittimo affidamento degli operatori economici”.[6] La Corte passava poi ad esaminare i requisiti essenziali della tutela del legittimo affidamento, analizzando la documentazione interpretativa dell'autorità competente e se la stessa avesse generato fondate aspettative in capo al contribuente “se gli atti dell'autorità amministrativa abbiano ingenerato fondate aspettative in capo ad un operatore economico prudente ed accorto”, per poi valutarne la legittimità in funzione della sua provenienza. Traslando il contenuto della sentenza sulla vicenda italiana, avremo che entrambe le condizioni verificate dalla Corte UE risultano soddisfatte, perché la circ. n. 4/E del 2005, è inequivoca nel ricollegare l'esenzione a tutte le prestazioni mediche di chirurgia estetica, riferendo il complessivo benessere psico-fisico del paziente alla ragione giustificatrice del regime di esenzione: “le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da iva in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psicofisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona” e ciò anche in considerazione della interpretazione attribuitale dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e dei Chirurghi (FNOMCeO), con Comunicazione n. 8 del 8 febbraio 2005[7]. Inoltre, per quel che concerne la legittimità del documento di prassi, facciamo rilevare che esso fu divulgato dalla Direzione Centrale Normativa e Contenzioso e cioè dall'articolazione dell'Agenzia delle Entrate allora istituzionalmente deputata all'interpretazione amministrativa delle norme tributarie, onde per cui non può che addivenirsi alla conclusione indicata e sancita dalla Corte UE, secondo la quale “i principi di certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento devono essere rispettati dalle istituzioni dell'Unione europea, ma anche dagli Stati membri nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive dell'Unione”[8].
LA CERTEZZA DEL DIRITTO. A corollario di quanto sopra statuito dalla giurisprudenza UE, occorre anche ricordare che “la normativa dell'Unione deve essere certa e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono sottoposti, e tale esigenza di certezza del diritto si impone con particolare rigore in presenza di una normativa che può comportare conseguenze finanziarie, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza l'estensione degli obblighi che essa impone loro[9]. Come affermato dalla Corte UE, la normativa degli Stati membri deve essere formulata in modo inequivoco, al fine di consentire ai soggetti interessati di conoscere i loro diritti e obblighi in modo chiaro e preciso e ai giudici nazionali di garantirne l'osservanza.[10] La disposizione che attribuisce l'esenzione, è formulata in modo generalizzato e non stabilisce che le prestazioni di chirurgia estetica, debbano essere trattate diversamente dalle altre prestazioni mediche e la circostanza che la circolare n. 4/E del 2005, abbia inteso includerle tutte nel regime di esenzione, senza distinzione alcuna, poiché avvinte dal “benessere psico-fisico” quale declinazione del diritto alla salute della persona, non può che portare alle medesime conclusioni. Qualora, l'Amministrazione finanziaria decidesse di modificare il proprio intendimento e richiedere la prova del disagio psicologico, essa – oltre a dover definitivamente chiarire come il medico (e lo stesso paziente interessato a non subire la rivalsa) possano “tecnicamente” formare questa prova – dovrebbe in ogni caso chiarire l'impossibilità di pretendere il tributo iva per il passato, considerata la necessità della certezza del diritto e l'evidente situazione di affidamento generatasi nei destinatari tutelata dal diritto UE, vincolante per gli organi amministrativi dello Stato.
L'ONERE DELLA PROVA. Le contestazioni dell'amministrazione finanziaria hanno, sino ad oggi, fondato i propri presupposti sulla assenza del presupposto oggettivo richiesto per applicazione dell'esenzione di cui all'art. 10, comma 1, n. 18), del D.P.R. n. 633/1972, tralasciando di curare gli aspetti relativi allo stato di salute del paziente, la patologia sofferta ed il quadro di dissesto psico-fisico riscontrato nell'anamnesi medica, elementi che unitamente alla prescrizione di medicinali, dovrebbero connotare la finalità che ne determina l'esenzione e ciò, perché la giurisprudenza aveva attribuito al soggetto inciso dall'azione dell'amministrazione finanziaria, l'onere dimostrativo della finalità curativa. Com'è noto, la legge n. 130, ha introdotto nell'articolo 7 del Dlgs 546/1992 il nuovo comma 5-bis che oggi prevede che “L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.  La disposizione sancisce innanzitutto con chiarezza ciò che la dottrina[11]aveva da tempo affermato e cioè che nel processo tributario, con l'eccezione dei giudizi di rimborso, l'onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa spetta sempre al Fisco, perché è esso che fa valere una pretesa in giudizio. Secondo la nuova disposizione è pertanto l'amministrazione finanziaria a dover provare in giudizio i fatti costitutivi del proprio diritto ed in tal senso è conforme la  dottrina che commentando la nuova disposizione ha affermato che “Il Fisco, ad esempio, non potrà più limitarsi sic et simpliciter a rilevare, dopo aver motivato l'avviso di accertamento, che il contribuente, richiesto in tal senso, non ha adotto alcuna prova delle condizioni di fatto che legittimano le agevolazioni fruite dal contribuente (si pensi, ad esempio, alla prova della natura “non terapeutica” delle prestazioni sanitarie ai fini dell'esenzione Iva).[12] Ma c'è di più, perché così come l'ufficio nell'atto impositivo deve ora indicare quale condizione di deducibilità di un costo ha accertato essere insussistente, e provare di aver acquisito la prova della mancanza del requisito, allo stesso modo, in tema di IVA, per individuare l'incombenza dell'onere probatorio occorrerà preliminarmente capire se l'esenzione deriva dalla legge o se invece deriva da una specifica richiesta agevolativa del contribuente. In sostanza sarà necessario “… distinguere tra esenzioni ex lege ed esenzioni su richiesta del contribuente.[13] Nel primo caso, l'onere della prova si pone esattamente come negli altri casi per gli atti impositivi, posto che l'oggetto della impugnazione del contribuente è un atto con cui l'amministrazione finanziaria ha contestato la sussistenza delle condizioni per usufruire di un regime di esenzione. Nel secondo caso, ossia esenzioni spettanti su richiesta del contribuente, questi impugna, in genere, un atto di diniego; quindi, sarà lui a dover fornire la prova che nel procedimento applicativo della esenzione, ossia nella fase amministrativa, ha rispettato tutte le condizioni per usufruirne; dopodiché sarà onere dell'Amministrazione finanziaria provare il fatto che legittima il diniego. Il ragionamento è indiscutibilmente lineare e fondato sulla lettura della nuova disposizione che ha voluto l'organo legislativo, norma avente una natura procedurale e come tale applicabile anche ai processi in corso.
 
[1 Corte di Giustizia UE, 6 novembre 2003, causa C-45/01, (punto 43); Corte di Giustizia UE, 7 aprile 2022, causa C-228/20.
[2] Ex multis, Corte di Giustizia UE, 10 giugno 2010, causa C-86/09, Future Health Technologies, (punto 41).
[3] Corte di Giustizia UE, 6 novembre 2003, causa C-45/01, Dornier, Racc. pag. I-12911, (punto 50); Corte di Giustizia UE, 27 aprile 2006, causa C-443/04 e causa C-444/04, Solleveld e van den Hout-van Eijnsbergen, Racc. pag. I-3617 (punti 16 e 24).
[4] Cass., Sez. VI, 1° agosto 2022, n. 23831.
[5] Risposta n. 3/03094 del 10 marzo 2022 del MEF “il fatto che una determinata prestazione sia effettuata da un medico non garantisce che la stessa si qualifichi come di ‘diagnosi, cura e riabilitazione'. Al limite, può garantire che la prestazione sia eseguita da una persona qualificata ma, di per sé, tale circostanza non è sufficiente considerare quali ‘cure mediche' o ‘prestazioni mediche alla persona', i servizi puramente estetici/cosmetici posti in essere da un medico, quali la depilazione definitiva, il ringiovanimento della pelle a luce pulsata o le iniezioni di botox
[6] Sentenze 3 dicembre 1998, C-381/97, Belgocodex, Racc. pag. I-8153, (punto 26), e 26 aprile 2005, causa C-376/02, Goed Wonen, Racc. pag. I-3445, (punto 32)
[7] Diritto e Pratica Tributaria, n. 4, 1 luglio 2022, p. 1303 Commento alla normativa Giuseppe Melis.
[8] Sentenze Gemeente Leusden e Holin Groep, C-487/01 e C-7/02, (punto 57); Goed Wonen, C-376/02, (punto 32); Elmeja NE, da C-181-04 a C-183/04, (punto 31).
[9] Sentenza Irlanda/Commissione, 325/85, (punto 18)
[10] Sentenza Commissione/Italia, 257/86, punto 12)”.
 
[11] E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 5° ed., pagg. 388 e segg.
Tra gli ultimi contributi sul tema, si segnala, per l'ampiezza dell'approfondimento, N. Sartori, La fase istruttoria e le c.d. prove atipiche o illecite, in AA.VV. (a cura di C. Consolo, G. Melis e A.M. Perrino), Il giudizio tributario, Giuffré, Milano, 2022, pagg. 546 e segg..
[12] Giuseppe Melis, in Modulo24 Contenzioso Tributario|12 gennaio 2023|n. 1|p. 12|“L'onere della prova e la “consistenza” della prova, primi disorientamenti giurisprudenziali
[13] Samuele Donatelli in Rassegna Tributaria|5 marzo 2023|n. 1|p. 25-46| Conforme G. M. Cipolla, “La prova tra procedimento e processo tributario”, 602 ss., passim.. F. Tesauro, “L'onere della prova nel processo tributario”, cit., 90 e ss.; G. Ingrao, “La valutazione del comportamento delle parti nel processo tributario”, cit., pag. 105-106.
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