OBBLIGO DI "REPECHAGE" ALLA LUCE DEL NOVELLATO 2103 C.C.
07 MAR 2017
Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 3370 del 16 dicembre 2016, ha sposato la tesi, da molti sostenuta, che il c.d. "repechage" in fase di licenziamento, consistente in un vero e proprio obbligo in capo al datore di lavoro di verifica delle mansioni e posizioni alternative ove poter ricollocare il lavoratore oggetto del licenziamento, debba ora operarsi nei nuovi limiti espressamente previsti dall'art. 2103 c.c., così come modificato dall'art. 3 del D. Lgs. 81/2015.
Prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 81/2015, l'art. 2103 c.c. prevedeva che il prestatore di lavoro dovesse essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che avesse successivamente acquisito "ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte", delimitando l'obbligo di "repechage" nel caso di sopressione del posto di lavoro alle sole "mansioni equivalenti".
Il novellato art. 2103 c.c. ha superato il concetto di mansioni equivalenti, sostituendolo con "mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte".
Questa modifica, che da un lato ha agevolato il datore di lavoro nell'esercizio dello "ius variandi", ovvero il potere di variare unilateralmente le mansioni rispetto a quelle assegnate in fase di assunzione, ha dall'altro ampliato e complicato notevolmente la verifica del "repechage", obbligando il datore di lavoro a dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore a tutte le mansioni riconducibili nello stesso livello e categoria legale di inquadramento.