NON V'E' FRODE (CAROSELLO), SE IL PREZZO E' IN LINEA CON IL MERCATO
CONSULENZA TRIBUTARIA, SOCIETARIA E DEL LAVORO

NON V'E' FRODE (CAROSELLO), SE IL PREZZO E' IN LINEA CON IL MERCATO

16 APR 2018
La Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia ha nuovamente emesso una interessante sentenza sulle frodi carosello, la n. 34/2018, con la quale ha stabilito che se il prezzo delle fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti è in linea con quello di mercato, al cessionario deve essere riconosciuta la buona fede con il conseguente diritto alla detrazione dell’IVA.
Val la pena di ricordare che secondo l’orientamento della Corte di legittimità, spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare la connivenza del destinatario della fattura con gli artefici della frode e cioè che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione strutturata.
L’amministrazione finanziaria, dal canto suo, potrà dimostrare anche mediante presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, che il destinatario delle fatture, avrebbero dovuto sospettare circa la regolarità della operazione. In presenza di tali elementi indiziari, spetterà poi al contribuente l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente e i precedenti fornitori «si riversa sul contribuente l'onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente ed i precedenti fornitori, ovvero, nonostante l'impiego della dovuta diligenza richiesta dalle specifiche modalità in cui si è svolta l'operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato d'ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all'operazione» Cassazione n. 3473 del 13.02.2018. La Suprema Corte ha poi individuato quali siano gli elementi sintomatici delle operazioni soggettivamente inesistenti, al ricorrere dei quali l’onere probatorio del Fisco deve sostanzialmente ritenersi assolto e cioè:
  1. l’assenza di personale e di cespiti dell’emittente (Cassazione nn. 607 e 2398 del 2018);
  2. conclamata inidoneità a svolgere l’attività economica e a una non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione, (Cassazione n. 23166/2017);
  3. prezzi del prodotto inferiori rispetto a quelli di mercato (Cassazione n. 3473/2018).
Nella fattispecie analizzata dalla Corte di Reggio Emilia però, il ricorrente aveva dimostrato che gli acquisti contestati erano di fatto allineati a quelli di mercato, ovvero assolutamente nella media di quelli applicati dai soggetti comparabili, non presentando alcuna anomalia, questione che scagionava il cessionario.

sentenza del 22.03.2018 n. 34 /2018  C.T. Prov. Reggio Emilia 22.3.2018 n. 34/2/18

Il Sig. _______________ ricorre, con distinti gravami, (R.G.R. n. 39-169/2017), nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Reggio Emilia, avverso altrettanti avvisi di accertamento emessi, per gli anni d'imposta 2011 e 2012, ai fini IVA, relative sanzioni ed interessi; valore delle liti, ai fini della nota spese complessivamente € 87.997,00. Assume l'Agenzia, negli atti impugnati, originati da un PVC redatto dalla GdF, che la Ricorrente, svolgente l'attività di "fabbricazione di imballaggi in materie plastiche", avrebbe detratto, illegittimamente, l'IVA su fatture soggettivamente inesistenti, in quanto emesse da soggetto ("emittente") diverso da quello effettivo; la società "emittente" i) sarebbe risultata irreperibile, sia presso la sede sociale che presso la sede operativa; ii) non sarebbe stata dotata di una struttura atta a svolgere una concreta attività in forma d'impresa; iii) sarebbe stata gestita da prestanome nullatenenti; iv) per l'anno d'imposta 2011 avrebbe presentato dichiarazioni fiscali contenti dati non veritieri esponendo cessioni all'estero mai effettuate, al solo fine di ottenere la qualifica di esportatore abituale, per acquistare merci da fornitori italiani in esenzione di IVA, mentre, per l'anno d'imposta 2012, non avrebbe presentato alcuna dichiarazione fiscale; v) non avrebbe mai versato le imposte dovute, non avrebbe mai tenuto le necessarie scritture contabili; aggiunge poi l'Agenzia che, dall'analisi della frammentaria documentazione reperita nel corso del controllo, sarebbe emerso che "l'emittente" avrebbe "effettuato acquisti da fornitori intracomunitari e nazionali mediante l'utilizzo indebito di dichiarazioni d'intento e successiva rivendita "sottocosto" a clienti residenti"; pertanto le fatture emesse "dall'emittente" nei confronti dei clienti, nel corso degli anni 2011 e 2012, sarebbero da considerare "soggettivamente inesistenti". L'Agenzia evidenzia, poi, come la Ricorrente: i) in sede di verifica, non sarebbe stata in grado di ricordare il referente commerciale "dell'emittente" e, come, in due documenti di trasporto della "stessa", sarebbero individuabili errori e carenze di compilazione; ii) in sede di memorie precontenziose abbia chiarito di essersi avvicinata commercialmente "all'emittente" in quanto alla costante ricerca di grossisti con cui riuscire a spuntare prezzi di fornitura minori e che, "pertanto, era consapevole di ottenere materie prime e semilavorati ad un prezzo vantaggioso rispetto a quelli di mercato, che è proprio una conseguenza del meccanismo della frode carosello"; la Ricorrente grava gli atti impugnati sul presupposto della loro illegittimità, posto che: i) gli stessi fanno riferimento, in sede di motivazione ad un pvc, redatto a carico "dell'emittente", non allegato al pvc redatto a suo carico e che le è completamente sconosciuto, il tutto in violazione dell' art. 42 del DPR 600/73; ii) l'emittente" le era stata presentata da un altro affidabile operatore commerciale e che nulla le poteva far presumere l'eventuale inesistenza soggettiva della "stessa", posto che questa risultava regolarmente iscritta al Registro Imprese; iii) d'altro canto il fatto che non ne ricordasse il nome del referente commerciale era perfettamente logico, posto che l'ammontare degli acquisti dalla stessa non aveva superato, nei due anni in contestazione, il 7-8% dell'ammontare globale degli acquisti, iv) quanto ai prezzi "spuntati" con" l'emittente", gli stessi erano sostanzialmente, in linea con quelli di mercato, né potevano sorprendere le modalità di pagamento molte volte "a vista", posto che la scarsezza delle materie prime nel mercato di riferimento rendeva normale tale modalità che, anzi, molte volte era anticipata rispetto alla consegna della merce; v) tutti elementi che comproverebbero la sua buona fede e, dunque, la sua estraneità all'eventuale frode fiscale commessa "dall'emittente", posto che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, va esente da responsabilità e può dunque legittimamente detrarre l'IVA su fatture "soggettivamente inesistenti", l'imprenditore che dimostri di avere utilizzato nei rapporti commerciali la usuale diligenza e prudenza tipici di un operatore commerciale "eiusdem generis ac professionis"; chiede, infine, in accoglimento dei ricorsi, l'annullamento degli atti impugnati. L'Agenzia si costituisce in giudizio con controdeduzioni con cui ribadisce le motivazioni dell'atto impugnato; chiede, infine il rigetto dei ricorsi, vinte le spese. La Ricorrente presenta memoria con allegata perizia atta al fine di dimostrare che i prezzi "spuntati" con "l'emittente sono assolutamente nella media o superiori alla stessa dei "comparabili" e non presentano alcuna anomalia; all'udienza dibattimentale le Parti si riportano alle loro deduzioni scritte.

Motivi della decisione

2. Afferma, con principio ormai consolidato, la Corte di Cassazione che "Spetta all'amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l'IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall'effettivo cedente del bene o servizio, (c.d. operazioni soggettivamente inesistenti), provare che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l'uso dell'ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia, con l'emissione della relativa fattura, evaso l'imposta o compiuto una frode. La relativa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, dimostrando che, al momento in cui pagò l'imposta che successivamente intese portare in detrazione, il contribuente disponeva di elementi tali da porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto" [sent. 23560 (Rv. 624737/01)].
La Suprema Corte fa buon uso dei principi espressi, sempre in tema di distribuzione di onere della prova, dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea che nelle cause riunite C-80 /11 e C-142/11 (nello stesso senso cfr. C-277/14) ha affermato "1. Gli ARTT. 167 E 168 lettera a), 178, lettera a), 220, punto 1, e 226 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi nazionale in base alla quale l'Amministrazione fiscale nega ad un soggetto passivo il diritto di detrarre, dall'importo dell'imposta sul valore aggiunto di cui egli è debitore, l'importo dell'imposta dovuta o versata per i servizi che gli sono stati forniti, con la motivazione che l'emittente della fattura correlata a tali servizi, o uno dei suoi subfornitori, ha commesso irregolarità, senza che detta amministrazione dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un'evasione commessa dal suddetto emittente o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni. 2) Gli articoli 167 E 168, lettera a), 178, lettera a), e 273 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi nazionale in base alla quale l'amministrazione fiscale nega il diritto a detrazione con la motivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l'emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene richiesto l'esercizio del diritto a detrazione avesse la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'imposta sul valore aggiunto, o con la motivazione che il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che di detta fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate, benché ricorrano le condizioni di sostanza e di forma previste dalla direttiva 2006/112 per l'esercizio del diritto a detrazione e sebbene il soggetto passivo non disponga di indizi che giustifichino il sospetto dell'esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto emittente (1)"'.
Se si applicano i suddetti principi di diritto alla fattispecie concreta dedotta in giudizio non può che conseguirne l'accoglimento del ricorso; invero la giurisprudenza della Corte di Giustizia svaluta completamente la forza probatoria dei fatti addotti dall'Agenzia in ordine ai rapporti "dell'emittente" con il Fisco che pertanto non possono supportare la legittimità degli atti impugnati; quanto alla deduzione dell'Agenzia, su cui molto si è dilungata, sia in sede di motivazione degli atti impugnati che in sede di controdeduzioni, che la Ricorrente non potesse non rendersi conto, sulla base della sua esperienza commerciale, che i prezzi praticati "dall'emittente" fossero palesemente fuori mercato e che tale particolare avrebbe dovuto farlo insospettire in ordine all'origine dei beni compravenduti, appare del tutto infondata; invero la Ricorrente ha provato con dettagliata consulenza tecnica non contestata dall'Agenzia che i prezzi dei comparabili "spuntati" con "l'emittente" erano perfettamente in linea con i prezzi di mercato e, dunque, l'ammontare degli stessi non poteva certo essere sintomatico di una situazione di soggettiva inesistenza "dell'emittente"; in conclusione, in accoglimento dei ricorsi, gli atti impugnati vanno annullati; le spese di giudizio liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Commissione, stante la connessione dei ricorsi di cui agli R.G.R. n. 39-169/2017, li riunifica in capo al R.G.R. n. 39/2017 e, in accoglimento dei ricorsi, annulla gli impugnati atti. Le spese di giudizio, liquidate in complessivi € 3000 (tremila) più oneri di legge e CUT, seguono la soccombenza.

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Note:
1. Dalla motivazione della sentenza richiamata "61. Tuttavia, l'amministrazione fiscale non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto alla detrazione dell'IVA, da un lato - al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte - verifichi che l'emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l'esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'IVA o, dall'altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo. 62. Spetta infatti, in linea di principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi al fine di rilevare irregolarità e evasioni in materia di IVA nonché infliggere sanzioni al soggetto passivo che ha commesso dette irregolarità o evasioni. 63. Secondo la giurisprudenza della Corte, gli Stati membri sono tenuti a verificare le dichiarazioni fiscali dei soggetti passivi, la loro contabilità e gli altri documenti utili (v. sentenze del 17 luglio 2008, Commissione/Italia, C132/06, Racc. pag. 1-5457, punto 37, e del 29 luglio 2010, Profaktor Kulesza, Frankowski, Józwiak, Orlowski, C-188/09. Racc. pag. 1-7639, punto 21). … 65. Ne consegue che, imponendo ai soggetti passivi, in ragione del rischio di un diniego del diritto a detrazione, le misure elencate al punto 61 della presente sentenza, l'Amministrazione fiscale trasferirebbe sui soggetti passivi i propri compiti di controllo, contravvenendo alle summenzionate disposizioni".

 
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