NON BASTA LA PRESUNZIONE QUANDO LE INDAGINI SI SVOLGONO SUI CONTI PERSONALI DEI SOCI
27 APR 2018
In seguito ad una verifica fiscale in capo ad una s.r.l., l’Agenzia delle Entrate di Campobasso, avviava un’indagine sui conti correnti dell’amministratore della società e su quello della figlia e, non ritenendo adeguatamente giustificati i relativi movimenti, accertava per l’anno 2002 un maggior imponibile a titolo dell’allora Irpeg, Iva e Irap. La società presentava ricorso avverso l’avviso di accertamento che veniva accolto e, successivamente, l’Agenzia si opponeva senza alcun successo. Anche i giudici di terzo grado si pronunciano a favore della contribuente, annullando l’atto impositivo, non avendo l’Agenzia provato che i versamenti relativi ai conti correnti dell’amministratore e della figlia fossero effettivamente riferibili alla società. La Suprema Corte ribadisce, come già affermato in precedenza, che qualora l’ufficio intenda contestare la fittizietà dei conti bancari a terzi “deve necessariamente provare che i conti, seppure a costoro intestati nella realtà, siano comunque utilizzati anche in parte per operazioni attribuibili alla contribuente, anche tramite presunzioni sia pure senza necessità di provare che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali”. Nel caso in esame l’ufficio non avrebbe dedotto “elementi atti a affermare che i movimenti relativi ai conti personali dell’amministratore e della figlia, della quale non è chiarita la qualità in seno alla società, fossero effettivamente riferibili a questa”.