Con la sentenza n. 1185 del 2020 la Corte di Cassazione ha stabilito che il socio, moroso nel pagamento del debito derivante da sottoscrizione dell’aumento di capitale deliberato, non può essere escluso se è già titolare di partecipazione sociale sin dalla costituzione. In questo caso, il socio è sospeso dal diritto di voto nelle delibere, ma mantiene il diritto di controllo sugli affari sociali. La Suprema Corte conferma che in caso di sottoscrizione di aumento di capitale ad opera del socio a cui non faccia seguito il conferimento (totale), si applica l’art. 2466 c.c. che impone l’adempimento entro 30 gg. Qualora persiste la mora gli amministratori possono vendere la quota agli altri soci o intraprendere l'azione di adempimento. Nel caso in cui non può effettuarsi la cessione, si delibera l’esclusione del socio trattenendo le somme eventualmente versate e riducendo il capitale. Questa riduzione opera sull’intera quota di aumento del capitale sociale sottoscritta dal socio, nonostante questi fosse moroso solo in parte. Secondo i giudici di legittimità tale meccanismo “non può essere esteso al caso in cui il socio, in virtù di una precedente sottoscrizione attuata in fase di costituzione o anche di un pregresso aumento di capitale fosse già tale e senza debiti di conferimento prima dell’aumento che abbia condotto alla morosità in tal modo sanzionata.” Nel caso di specie, in cui il socio aveva versato solo il 25% della quota di aumento integralmente sottoscritta, la Corte ritiene che non opera l'espulsione ma solo la riduzione della partecipazione inerente l'operazione di aumento di capitale.