La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15211 del 2023 si è pronunciata sulla
legittimità dell’istanza di rimborso presentata da una s.p.a. che, al fine di far apparire al mercato una situazione finanziaria più rosea di quella reale, e
videnziava in bilancio utili fittizi poi confluiti nella dichiarazione dei redditi e interamente tassati. Nei primi due gradi di giudizio l’impugnazione del diniego veniva rigettata, ritenendo le corti di merito, che il pagamento di imposte su utili inesistenti era stato "
voluto ed accettato dalla società nell'ambito di un disegno criminoso volto a dare all'esterno un'immagine di solidità e che ciò non configurava alcuna delle ipotesi che davano luogo al diritto al rimborso" (errore, duplicazione di versamento e anche inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento). In particolare, con riferimento all’ipotesi di inesistenza dell’obbligo di versamento, i giudici ritenevano che affinché questa possa condurre ad una effettiva restituzione sarebbe sempre necessario un errore alla base.
La Corte nega tale ricostruzione evidenziando che il l’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973 autorizza la presentazione dell'istanza di rimborso, oltre che in caso di errore materiale, anche in quello di "inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento",
con disposizione che opera in maniera indifferenziata in tutte le ipotesi di ripetibilità del versamento indebito, a prescindere dalla riferibilità dell'errore al versamento, all'an o al quantum del tributo. Secondo i giudici di legittimità, infatti,
le norme sulla imposizione diretta, i
spirate al principio costituzionale della capacità contributiva,
non contemplano infatti ipotesi di responsabilità fiscale “oggettiva”, indipendente dall'esistenza di un reddito effettivo.
cassaz.15211.2023.rimborse.imposte.utili-fittizi.doc