A seguito della pubblicazione delle linee guida per la qualificazione delle attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica e di design e ideazione estetica (DM 4.7.2024), è emerso che l’attività dei certificatori sarebbe di fatto preclusa al settore “moda”, per via di indicazioni di carattere generale e trasversale che interessano i valutatori per il rilascio delle certificazioni attestanti la eleggibilità degli investimenti effettuati dalle imprese. Tali criticità sono per lo più individuabili nei richiami ai principi ed ai criteri contenuti nel Manuale di Frascati, ritenuto applicabile, secondo le linee guida, ad ambedue le sezioni che commentano l’attività di ricerca e sviluppo. La prima con riferimento alle attività di ricerca e sviluppo post 2020, regolata dall’articolo 1, comma 200, della legge 160/2019 e la seconda per le attività che riguardano il periodo 2015-2019 (articolo 3 del Dl 145/2013). Queste ultime possono accedere al riversamento senza sanzioni ed interessi mediante la presentazione di apposita domanda, in scadenza il prossimo 31 ottobre 2024. Ma torniamo alle linee guida ed ai richiami alla applicabilità del Manuale di Frascati anche, al periodo 2015-2019, per via del fatto che le definizioni normative delle attività ammissibili al credito d’imposta sono mutuate da quelle comunitarie con preciso riferimento alle Comunicazioni della Commissione europea del 30.12.2006 n. 323 e del 27.6.2014 n. 1. Tale richiamo appare quanto meno discutibile alla luce dei principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto ed in considerazione del fatto che si vorrebbero oggi legittimare i principi contenuti in un documento che non ha alcun valore legale, per di più retroattivamente. Allo stesso modo non convince nemmeno l’affermazione contenuta nelle linee guida secondo la quale tale legittimazione, deriverebbe dalle comunicazioni della Commissione europea, “
sono mutuate da quelle comunitarie”, atti che, com’è noto, sono atipici e non vincolanti. Le Comunicazioni richiamate della Commissione europea sono infatti unicamente idonee a “
produrre un effetto conformativo nei riguardi dell’istituzione emanante e un conseguente, correlato, effetto di liceità nei confronti delle condotte dei privati o degli Stati membri che ad essi si adeguano”
[1], non sono rivolte e neppure direttamente opponibili ai singoli contribuenti, ma agli Stati membri, ai quali la Commissione europea ha in tal modo preannunciato il proprio intendimento di avere riguardo ai fini della valutazione della comparabilità degli aiuti di Stato in materia di Ricerca, Sviluppo e Innovazione ex artt. 107 e 108 TFUE …” (cfr. pag. 127). Insomma, il Manuale di Frascati non solo non è attribuibile all’OCSE, né ai suoi Stati membri, come si può facilmente evincere dal frontespizio, ove è ben chiarito che trattasi di documento caratterizzato da finalità statistico descrittiva, ma i richiami che vorrebbero legittimarne l’utilizzo, per di più retroattivo, sono forzature giuridiche incompatibili con la normativa primaria che mai ha lo ha menzionato. La sua rilevanza giuridica deve essere quindi valutata in relazione agli interventi normativi primari e secondari che si sono susseguiti nel tempo e che di fatto hanno sempre confermato l’originaria formulazione dell’attività di ricerca e sviluppo contenuta nell’art. 3, comma 4 del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145. Il Manuale di Frascati non ha nemmeno un valore di trattato internazionale, né gli si può attribuire una funzione interpretativa dei trattati ai sensi della Convenzione di Vienna, ma può tutt’al più, costituire la base informativa per la formulazione di disposizioni future in tema di ricerca, come avvenuto con l’art. 1, comma 200, Legge 27 dicembre 2019, n. 160. Ma allora se il Manuale di Frascati non ha valore normativo e ad esso non può applicarsi il principio
iura novit curia, sarà l’Agenzia delle entrate a doverne dimostrare il contenuto in giudizio laddove intenda porlo a fondamento del proprio recupero, fermo restando che il contribuente dovrà chiaramente contestarne l’applicabilità con uno specifico motivo di ricorso.
[1] P. De Luca, "
La limitazione degli effetti di soft law delle comunicazioni della Commissione: il caso Grecia c. Commissione", in Il diritto dell’Unione Europea, n. 3/2016, pag. 513.