Secondo la Corte di Cassazione non è elusiva una operazione di riorganizzazione societaria, se il vantaggio ottenuto è voluto dal legislatore. E' questo il verdetto della sentenza 5973 dell’8 marzo 2017, relativo ad una vicenda con cui l'amministrazione finanziaria contestava l’utilizzazione elusiva del disavanzo di fusione generato da un’operazione di fusione per incorporazione.
In pratica una società di costruzioni provvedeva a rivalutare le sue partecipazioni sociali, iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie, nelle società controllate che assoggettava ad imposta sostitutiva del 15%, iscrivendo le relative riserve di rivalutazione tra le poste del patrimonio netto.
La società si fondeva facendo emergere un disavanzo di fusione di oltre cinque milioni di euro e una differenza di fusione di circa settemila euro, che andava ad annullare il valore della partecipazione nella incorporata, disavanzo di fusione che veniva poi imputato interamente al maggior valore delle rimanenze (lavori edili in corso di esecuzione), secondo l'agenzia con l'unica intenzione di consentire l’incremento di valore di tali beni.
La società ricorrente assumeva che l’operazione di fusione era stata effettuata per ottenere il riconoscimento fiscale dei disavanzi di fusione senza l’applicazione dell’imposta sostitutiva, purché l’operazione di fusione fosse deliberata dalle assemblee delle società partecipanti entro la data del 30 aprile 2004, per non perdere l'imposta sostitutiva versata a seguito della rivalutazione della partecipazione nella controllata.
Secondo l’agenzia delle Entrate invece, gli atti posti in essere dalla società contribuente seppure di per sè legittimi, dalla loro concatenazione si evincerebbe un intento elusivo, diretto ad ottenete un risparmio d’imposta indebito, ottenuto aggirando il divieto di rivalutazione del valore delle rimanenze ricompreso nell’attivo circolante.
Ricordiamo che le disposizioni subordinano la configurabilità di un’operazione elusiva/abusiva alla dimostrazione da parte dell’agenzia delle Entrate di tre elementi:
In sostanza secondo la Corte sarebbe illegittimo e vietato il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici, (Ex multis Corte di Cassazione 30.11.2011, n. 25537; Corte di Cassazione 26.02.2014 n. 4604; Corte di Cassazione 06.03.2015, n. 4561).
La sentenza nella motivazione richiamava opportunamente la giurisprudenza della Corte di giustizia del 17 luglio 1997, causa C-28/95, Leur-Bloem, punto 36; Corte di giustizia Ce, 5 luglio 2007, causa C-321/05, Kofoed, punto 30; Corte di giustizia Ue, 10 novembre 2011, causa C-126/10, Foggia-Sociedade Gestora de Participagoes Sociais SA. la quale, nell’interpretare le disposizioni di favore previste dalla direttiva fusioni e scissioni ha affermato che:
principi che secondo la Corte portavano ad escludere una condotta elusiva, poichè il beneficio conseguito dal contribuente era fondato su di una normativa voluta dal legislatore e introdotta successivamente al momento in cui erano state realizzate le condizioni che avevano fatto sorgere la posta fiscale su cui quell’agevolazione andava ad incidere.
La Corte ha così precisato che in tale materia va preliminarmente verificata l’intenzione del contribuente di preordinare i propri atti e contratti al fine di ottenere un vantaggio fiscale altrimenti non spettante e cioè di quell'elemento soggettivo, che deve essere riscontrabile nel caso concreto.
L'intento elusivo «presuppone il perseguimento di un fine illecito attraverso l’utilizzo lecito di strumenti giuridici i quali, però, devono poter essere noti al soggetto agente, altrimenti viene meno la prefigurazione stessa di ottenere un vantaggio fiscale, inesistente al momento in cui vengono realizzati quei fatti che, successivamente, sulla base della nuova normativa, perdono di rilevanza fiscale».
L'elemento psicologico è desumibile tanto dall’abrogato articolo 37-bis , quanto dal vigente articolo 10-bis, secondo cui gli atti, i fatti e i negozi, anche tra loro collegati, devono essere diretti, ossia preordinati ex ante, a realizzare «essenzialmente vantaggi fiscali indebiti», che non possono essere ravvisati allorquando essi derivano da una specifica disposizione normativa diretta alla rivalutazione delle partecipazioni.
Ciò che intendo dire è che va applicata la disposizione voluta dal legislatore che stabilisce che «resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale», come già precisato, dalla stessa Corte, nelle sentenze n. 25374 del 17.10.2008 e n. 1372 del 21.01.2011 e come si può facilmente evincere dalla prassi dell'amministrazione finanziaria espressasi nella risoluzione 101/E del 3 novembre 2016 e da cui si evince che se il contribuente pone in essere atti finalizzati a soddisfare i requisiti fissati normativamente ai fini del conseguimento di un’agevolazione, non è ravvisabile alcun indebito vantaggio fiscale, ma una legittima pianificazione volta al conseguimento di un beneficio fiscale previsto e voluto dal sistema.