La Suprema Corte con la sentenza n. 10240/2017, ha stabilito che la cessione dei diritti di opzionenon è equiparabile ad una cessione di partecipazioni, precisando ulteriormente che trattandosi di un atto dotato di contenuto patrimoniale non identificato nell’ambito della legge di registro, deve essere tassato con la aliquota residuale del 3% (articolo 9, Tariffa parte prima, allegata al Dpr 131/1986),sul prezzo pattuito.
Ricordiamo che l'acquisto dei diriti d'opzione per la sottoscrizione di un aumento di capitale è il “veicolo” necessario per consentire ad un non socio di partecipare a un aumento di capitale e acquisire una quota di partecipazione nella società destinataria, onde per cui ci risulta veramente difficile comprendere il ragionamento utilizzato dai Giudici nella sentenza citata, ragionamento che tra l'altro non trova fondamento nè nelle norme nè nei principi che regolano la materia.