È noto che anche l’Amministrazione finanziaria, in quanto organo pubblico, sia tenuta a conformarsi alle norme ed ai principi che regolano l’ordinamento comunitario, al quale lo ricordiamo ha aderito anche lo Stato Italiano.
La questione implica l’obbligo di interpretare le disposizioni interne alla luce dei principi comunitari, e, per quel che più conta, di disapplicarle qualora ad essi contrarie.
La
normativa relativa all’art. 12 del D.L. 78 del 2009, avevamo detto, si presenta in contrasto con uno dei principi cardine dell’ordinamento comunitario; vale a dire quello della
libera circolazione dei capitali, letto ed interpretato alla luce del criterio guida dell’ordinamento comunitario.
Insomma ciò che intendo dire è che l'affermazione secondo la quale l'ufficio presuppone che le attività finanziarie, non indicate nel Quadro RW, siano riferibili a reddito sottratti a tassazione,
si pone in contrasto con l’art. 4 della Dir. n. 88/361/CEE che, pur riconoscendo il diritto degli Stati membri di adottare le misure indispensabili per impedire le violazioni delle disposizioni di legge e regolamentari interne, specie se di natura tributaria,
non ammette, tuttavia, che nel perseguimento di tale obiettivo si ecceda, fino al punto, di ostacolare la libera circolazione dei capitali.
È, infatti, consolidato, nella giurisprudenza comunitaria, il principio che eventuali restrizioni della libera circolazione dei capitali possano essere giustificate solo dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali nonché la lotta all’evasione fiscale,
purché, anche qui, sia rispettato il principio di proporzionalità, nel senso che la misura deve essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito,
senza andare oltre quanto è necessario per conseguirlo.
Alla luce di tale considerazione avevamo scritto che la normativa italiana si pone in contrasto con il citato principio comunitario, atteso che detta presunzione viene riferita ad una annualità di imposta che può essere rimessa in discussione solo violando taluni principi di derivazione comunitaria ivi compresi, il principio del legittimo affidamento e della certezza del diritto.
Con la
sentenza in commento,
C 317/15, la
Corte di giustizia si è occupata di una fattispecie che ripropone la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento, previsto in caso di attività detenute in paesi black list, in relazione alla sua compatibilità con il
principio di libera circolazione dei capitali (articolo 63 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea), affermando che
una tale normativa (si trattava di quella olandese certamente assimilabile a quella italiana),
è idonea a restringere il principio di libera circolazione dei capitali, applicabile anche nei confronti dei paesi terzi e, quindi, valevole anche per paesi diversi dagli Stati membri dell’Unione europea quali ad esempio la Svizzera e il Principato di Monaco.
La sentenza ha evitato
di pronunciarsi sul fatto che tale restrizione fosse giustificata e proporzionale, forse perchè la normativa olandese era già in vigore prima del 31 dicembre 1993, termine previsto dall’articolo 4, paragrafo 1, del Trattato di funzionamento dell’Unione europea, mentre, come noto il D.L. 78/2009 è entrato in vigore nel 2009 e pertanto non è oggetto di salvaguardia, onde per cui
il principio di libera circolazione dei capitali potrebbe concretamente decretare l’illegittimità del raddoppio dei termini di accertamento per le attività detenute in paesi black-list per violazione del diritto dell’Unione europea.
Ovviamente vi ricordo che l'eccezione andava tempestivamente sollevata nel momento di introduzione del giudizio.
Sentenza c_317_15.pdf