Il contribuente deve utilizzare buon senso e ragionevolezza nel contrattare con i suoi fornitori ed è impensabile che egli debba verificare che l'indirizzo indicato sulla fattura dal fornitore corrisponda al luogo in cui questi svolge effettivamente l'attività o in cui dispone di locali commerciali, oppure accertare che il fornitore sia effettivamente stabilito in quell'indirizzo. Sono queste le conclusioni che l'avvocato generale della Corte di giustizia Ue, ha depositato il 5 luglio 2017 nei procedimenti pregiudiziali riuniti C-374/16 e C-375/16.
In altre parole l'amministrazione finanziaria non può pretendere che il contribuente diventi un investigatore privato e ciò anche nel caso in cui vi siano sospetti sull'evasione del fornitore.
I controlli sulle reali condizioni del fornitore spettano all'amministrazione finanziaria.
L'avvocato ha così ricordato che è possibile negare il diritto alla detrazione a un soggetto passivo se emerge che ha agito in maniera incauta, senza impiegare la diligenza che è legittimo attendersi da un operatore avveduto e senza avere adottato le misure che possono essere ragionevolmente adottate in base alle circostanze concrete, ma ha anche precisato che è irragionevole obbligare il soggetto a compiere lunghi o approfonditi controlli sull'esattezza e correttezza dei dati formali inseriti in ciascuna delle fatture emesse da tutti i suoi fornitori.
Nell'ipotesi in cui sussistano concreti indizi di evasione, il contribuente deve assumere talune informazioni aggiuntive sul fornitore secondo canoni di ragionevolezza perchè «l'amministrazione finanziaria non può imporre al soggetto, in ragione del rischio di un diniego del diritto a detrazione, di compiere controlli approfonditi e complessi, trasferendo di fatto su di esso i propri compiti di controllo.