Nel caso di
fatture soggettivamente inesistenti, anche qualora si riscontri la consapevolezza della frode da parte del contribuente, la
Corte di Cassazione con l’
ordinanza n.2253/2018, ha riconosciuto la diversità di trattamento ai fini Iva e ai fini delle imposte dirette.
La questione trae origine da un avviso di accertamento nei confronti di una s.r.l., con cui l’
Agenzia delle Entrate di Pesaro contestava l’illegittima detrazione dell’Iva nonché la deducibilità del costo ai fini Irpef. L’avviso veniva impugnato dalla contribuente avanti alla
CTP di Pesaro che rigettava il ricorso.
La società proponeva appello, che veniva accolto dalla
CTR di Ancona con riferimento alla detraibilità dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini delle dirette, mentre dichiarava l’indetraibilità dell’iva, stante la piena consapevolezza della società al meccanismo fraudolento.
L’Agenzia proponeva ricorso in Cassazione contestando la deducibilità del costo.
Con l’ordinanza in esame la Suprema Corte ha dichiarato il motivo infondato affermando che “
in tema di imposte sui redditi, la partecipazione alla frode carosello o la mera consapevolezza della stessa, da parte del concessionario non determina ex se il venir meno dell’inerenza all’attività di impresa del bene di cui all’operazione soggettivamente inesistente e non ne esclude, pertanto, la deducibilità..”.
Secondo la Corte, il motivo risiede nel fatto che, nel primo caso, la condotta dolosa impedisce l’insorgenza del diritto alla detrazione per mancato perfezionamento dello scambio, mentre nel secondo caso, ciò non incide sulla realtà economica dell’operazione e sul pagamento del corrispettivo, pertanto
il costo dell’operazione, ove imputato a conto economico, può concorrere alla determinazione della base imponibile nella misura in cui il bene o servizio acquistato venga reimpiegato nell’esercizio dell’attività d’impresa.
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