ACCERTAMENTI AL MACERO
CONSULENZA TRIBUTARIA, SOCIETARIA E DEL LAVORO
ACCERTAMENTI AL MACERO

ACCERTAMENTI AL MACERO

25 MAG 2015

SU ITALIA OGGI UN ARTICOLO DI MARINO LONGONI TITOLA: Accertamenti al macero

Sette sentenze favorevoli al contribuente (e tra queste anche una Commissione tributaria regionale e una Cassazione) e due al fisco. La questione della nullità degli atti di accertamento sottoscritti da dirigenti dell’Agenzia delle entrate dichiarati decaduti comincia a prendere una brutta piega. Per il fisco. Appaiono quindi poco profetiche le parole del direttore dell’Agenzia, Rossella Orlandi che, all’indomani della sentenza della Corte costituzionale che dichiarava la invalidità della nomina dei dirigenti, aveva stigmatizzato il tentativo di impugnazione degli atti firmati dai dirigenti decaduti («smettiamola di far girare sciocchezze, gli atti sono validi, non si facciano spendere soldi inutili ai cittadini per i ricorsi»). Infatti, chi ha seguito il suo consiglio, ora si sta mordendo le mani. Anche perché, pur essendo la materia estremamente complessa, le motivazioni delle ultime sentenze favorevoli ai contribuenti sono ben argomentate e stroncano alla radice le pretese dell’Amministrazione: una su tutte la decisione della Ctr Lombardia che dichiara senza mezzi termini la nullità degli atti firmati da dirigente nominato in modo illegittimo; nullità rilevabile in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio. La stessa decisione demolisce anche l’argomentazione principale sostenuta dalle Entrate, che fa riferimento alla figura del «funzionario di fatto», una figura che, per i giudici di Milano, può essere invocata per far valere la validità di atti favorevoli ai terzi destinatari, non all’amministrazione. Di fronte a sentenze così nette, chi ha sostenuto, su certa stampa specializzata, che l’impugnazione degli atti di accertamento avrebbe esposto il contribuente al rischio di lite temeraria, fa una figura altrettanto misera. Ora la maggior parte degli atti di accertamento, anche e soprattutto quelli che nel merito erano inattaccabili, sarà impugnata dai contribuenti, con esiti che rischiano di essere molto pesanti per l’erario. Sono circa 800, infatti, i dirigenti delle Entrate che hanno firmato centinaia di migliaia di documenti che ora rischiano di finire nel tritacarte (ruoli, avvisi di accertamento, avvisi di liquidazione delle imposte, provvedimenti irrogativi di sanzioni, atti riguardanti le operazioni catastali, atti di diniego espresso emessi dalle Agenzie fiscali, atti processuali). E sono solo 366 i dirigenti diventati tali per concorso, quindi in grado di sottoscrivere atti in modo legittimo. Il problema potrebbe quindi esplodere in termini drammatici.Oltretutto il tentativo di minimizzarne la portata ha avuto come conseguenza che due mesi dopo la sentenza della Corte costituzionale, ancora non si vede all’orizzonte nessuna soluzione in grado di ripristinare il normale svolgimento dell’attività delle Entrate: sono anzi esplosi all’interno dell’Agenzia malumori e polemiche che finora erano rimasti sepolti sotto la cenere, con prese di posizioni durissime di alcuni rappresentanti sindacali e degli ormai ex dirigenti, che stanno scatenando una guerra intestina che non sarà facile ricomporre. Il contribuente raggiunto da accertamento, invece, vive un momento magico: può comprare, a modico prezzo, un biglietto della lotteria dove si vince 77 volte su 100.
Ritenendo di far cosa gradita vi spieghiamo il perché:
L’avviso di accertamento o l’avviso di liquidazione dell’imposta è atto amministrativo suscettibile di incidere sulla sfera giuridico-patrimoniale del contribuente e quindi esso deve contenere tutti gli elementi essenziali tipici degli atti giuridici della pubblica amministrazione, aventi carattere di provvedimento definitivo. Tra questi elementi, il legislatore ha voluto che la sottoscrizione del capo dell’ufficio, ovvero, per le imposte dirette, quella di altro funzionario delegato appartenente alla carriera dirigenziale,[1]fosse elemento essenziale. Che la sottoscrizione dell’atto amministrativo fosse un elemento essenziale è pensiero da tempo condiviso dalla Corte di legittimità,[2] che sin dal 2000 né ha statuito la nullità insanabile, allorquando la sottoscrizione è riferibile a soggetto non legittimato. Orbene, come noto, con la sentenza n. 37/2015, la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità degli atti con cui sono stati nominati i dirigenti nominati in assenza di superamento del relativo concorso pubblico e di conseguenza degli atti da essi sottoscritti.
Detti dirigenti a vario titolo sono:
a) i direttori provinciali “reggenti”;
b) i dirigenti “incaricati” che sottoscrivono gli atti su delega dei reggenti;
Com’è logico, il direttore provinciale “reggente”, non occupando legittimamente quel ruolo, non può né sottoscrivere l’atto né delegare terzi, poiché in virtù del principio di illegittimità derivata, la illegittimità della nomina, sancita dalla Corte Costituzionale, né comporta la illegittimità dell’atto sottoscritto. A sostegno della fondatezza della tesi sull’illegittimità degli atti sottoscritti da dirigenti “decaduti”, dopo la nota sentenza della Consulta, tra le altre si è espressa la Commissione tributaria regionale di Milano con la sentenza n. 2184/2015 depositata il 19 maggio 2015, sentenza che si aggiunge ad altro analogo intervento della Commissione tributaria provinciale di Milano sentenza n. 3222/25/2015 ed alle sentenze 1789/02/2015 e 1790/02/2015 della Commissione tributaria provinciale di Lecce. Secondo la Ctr di Milano la nullità degli atti amministrativi, sottoscritti da dirigenti illegittimi, deve essere rilevata alla luce ed in virtù dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità succedutasi negli anni,[3] che ha sancito la non applicabilità dell’articolo 21 octies, comma 2 della legge 241/90, (sulla non annullabilità dei provvedimenti adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato), chiarendo, tra l’altro, che gli atti emessi dall’Agenzia delle entrate non hanno natura vincolante ma discrezionale. Secondo la citata giurisprudenza, che richiama le statuizioni in precedenza espresse dalla Corte di Cassazione,[4] la nullità dell’atto può essere rilevata d’ufficio dal Giudice in quanto “… si verificherebbe un’ipotesi di nullità assoluta del provvedimento…” ai sensi dell’articolo 21 septies della legge 241/90, essendo l’atto viziato da difetto assoluto di attribuzione rilevabile in ogni stato e grado del giudizio e anche d’ufficio.  D’altronde è lo stesso Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 (pubblicato nella G.U. n. 36 del 13 febbraio 2001) ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012, che all’art. 1, comma 2 stabilisce che:
Ø  l’Agenzia si conforma ai principi della Legge n. 241 del 07 agosto 1990, adottando propri regolamenti in materia di termini e di responsabili dei procedimenti e di disciplina           dell’accesso ai documenti amministrativi;

Ø  l’accesso al ruolo di dirigente dell’Agenzia avviene, per i posti vacanti e disponibili, con procedure selettive pubbliche sia dall’esterno che dall’interno, nel rispetto dei principi di cui all'art. 35 del succitato Decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 (art. 12, comma 1);
Pertanto, se i dirigenti sono stati nominati in base alle specifiche leggi dichiarate incostituzionali gli atti che hanno sottoscritto o le deleghe che hanno conferito sono totalmente illegittimi, in base alla Legge n. 241 del 07 agosto 1990, espressamente richiamata dall’art. 1, comma 2, del citato Regolamento di amministrazione. Orbene, l’atto opposto in questa sede è stato sottoscritto dal direttore provinciale ___________________________, che risulta anche lui decaduto dalla “titolarità” dell’ufficio, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, con la quale, come detto, sono decaduti tutti i dirigenti illegittimamente nominati. Rammentiamo infatti che la Consulta ha censurato il sistema con cui l’amministrazione finanziaria, in dispregio delle regole legali, si era arrogata il diritto di nominare i propri funzionari mediante l’attribuzione di “incarichi dirigenziali” piuttosto che mediante l’assegnazione della qualifica di dirigente o reggente, conseguente al superamento di un regolare concorso pubblico. Nessun dubbio può nutrirsi circa l’intervenuta decadenza del __________________________ poiché il suo nominativo risulta dall’elenco dei dirigenti decaduti, pubblicato e rinvenibile sul sito web dell’ADUSBEF all’indirizzo http://www.adusbef.it/consultazione.asp?Id=9513&T=C.  Il documento è sulla stessa Gazzetta Ufficiale dove risultano nomi e cognomi del personale dell’Agenzia delle Entrate che ha spiegato “intervento ad adiuvandum” nel giudizio davanti al Consiglio di Stato, prima che quest’ultimo rinviasse gli atti alla Corte Costituzionale, elenco, tra l’altro coincidente con quello pubblicato dal sindacato di categoria dei dipendenti dell’Agenzia delle entrate all’indirizzo internet https://www.google.it/webhp?sourceid=chrome-instant&ion=1&espv=2&ie=UTF-8#q=dirpubblica%20elenco%20dirigenti%20decaduti,  qui sotto riprodotto in stralcio, dal quale risultano i nominativi dei dirigenti decaduti e segnatamente il nominativo del dott. ______________________.[5]
 
Come detto, con la succitata sentenza, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
1) dell’art. 8, comma 24, del DL n. 16 del 2.3.2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 44 del 26.4.2012;
2) dell’art. 1, comma 14, del DL n. 150 del 30.12.2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. n. 15 del 27.2.2014;
3) dell’art. 1, comma 8, del DL n. 192 del 31.12.2014.
Tutte le norme sono state dichiarate incostituzionali in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione poiché secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso”.[6] Alla luce di ciò, non v’è chi non veda come gli incarichi dirigenziali attribuiti, e con effetto retroattivo, siano tutti illegittimi, o meglio come tutti i dirigenti incaricati, che erano stati nominati in base alle norme dichiarate incostituzionali, devono ritenersi illegittimi e conseguentemente tutti gli atti da essi sottoscritti.
Occorre, infatti precisare, che in base allo Statuto dell’Agenzia delle Entrate, (approvato con delibera del Comitato direttivo n. 6 del 13.12.2000, aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 11 del 21.3.2011) ed in base al Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, (approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30.11.2000, aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27.12.2012), le Direzioni Provinciali dell’Agenzia delle Entrate sono sempre uffici di livello dirigenziale ed i relativi dirigenti, (se legittimamente nominati), devono sottoscrivere gli atti da esse promananti. Di conseguenza, se l’atto è firmato da un dirigente illegittimamente nominato, l’atto discrezionale e non vincolato è viziato da nullità assoluta, ai sensi dell’art. 21 septies della L. n. 241 del 7.8.1990, che testualmente dispone che:
E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
Si rammenta inoltre che la Corte di Cassazione, [7] ha avuto modo di precisare che:
1.      la figura del capo dell’Ufficio deve sempre coincidere con quella del dirigente titolare;
2.      la figura del personale appartenente alla nona qualifica professionale, soltanto in casi eccezionali, può sostituire il dirigente in caso di assenza o impedimento o può tenere la reggenza dell’ufficio, in attesa della destinazione del dirigente titolare;
3.      è onere (sempre) dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare e documentare il possesso dei requisiti contestati.
Secondo il conforme insegnamento della Corte di legittimità,[8] a nulla può valere la difesa dell’Ufficio diretta a far rilevare che l’atto deve comunque essere riferito all’ufficio di appartenenza, perché, secondo detto insegnamento, tale fattispecie è attribuibile solo alla illeggibilità della firma, (ipotesi totalmente diversa da quella oggetto del presente giudizio),  né tantomeno è ammesso il principio  di conservazione dell’atto illegittimo.
Allo stesso modo e sempre secondo l’insegnamento della Suprema Corte,  non è invocabile la figura del cd. “funzionario di fatto”, poiché detta fattispecie risulta applicabile solo e allorquando gli atti adottati dal funzionario risultano favorevoli ai terzi destinatari,[9] (es. i rimborsi fiscali), ma non di certo quando, gli atti sono sfavorevoli al contribuente, come anche chiarito dalla giurisprudenza di merito,[10] che sul punto ha richiamato la giurisprudenza amministrativa.[11] Pare inoltre necessario ricordare che la Corte di Cassazione ha altresì stabilito che, in caso di contestazione del contribuente, l’onere della prova, afferente alla dimostrazione del possesso dei requisiti del dirigente, spetta sempre all’Agenzia delle Entrate, che deve opporsi alle contestazioni mediante adeguata produzione documentale,[12] specificando ulteriormente che, a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove, in forza dei poteri istruttori attribuitigli dall’art. 7 del D. Lgs. n. 546/92, perché tali poteri sono meramente integrativi e non esonerativi dell’onere probatorio principale.[13]
Insomma, come in precedenza riconosciuto  dal Tribunale Amministrativo del Lazio, è del tutto illegittima la prassi, comunemente e ripetutamente adottata dall’Agenzia delle Entrate, di attribuire incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica di dirigente, costruendo così un surrettizio spoil system, in palese violazione delle disposizioni normative che prevedono il superamento di un concorso pubblico per accedere alla qualifica di dirigente. In particolare, con la sentenza dell’1 agosto 2011, n. 6884, il TAR del Lazio aveva sancito l’illegittimità dell’art. 24 del regolamento di organizzazione, che consentiva l’attribuzione di incarichi dirigenziali ai funzionari, come ordinario sistema di copertura dei posti della dotazione organica dirigenziale, contravvenendo ai principi generali enunciati dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001. Secondo il TAR, la reiterazione continua degli incarichi dirigenziali ai funzionari si è tramutata nell’illegittima attribuzione di mansioni superiori, in violazione dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. 165/2001, senza attribuire a tali soggetti alcun incarico di “reggenza. Nella sentenza in richiamo il TAR del Lazio ha specificato che: “… configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell’assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il relativo atto di conferimento deve considerarsi radicalmente nullo ai sensi dell'art. 52 co. 5 del D.Lgs. n. 165/2000”. Le medesime conclusioni sono state, ribadite dallo stesso Tribunale Amministrativo Romano con la sentenza n. 7636 del 30 settembre 2011. Il contenzioso amministrativo come noto, è stato impugnato innanzi al Consiglio di stato che lo ha attribuito alla Corte Costituzionale che si è espressa dalla con la nota  sentenza n. 37 del 2015, letta all’udienza del 24 febbraio 2015 e depositata il 17 marzo 2015, che né ha statuito l’illegittimità costituzionale, così motivando la sua decisione: “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio .. … Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti….in definitiva, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.”.

[1] Ctp di Salerno sentenza n. 1429 del 31 marzo 2014.
[2] Cassazione  sentenze n. 14626/2000, 14195/2000, 17400/2012 e 654/2014.
[3] Sentenze n. 17400/12, n. 14626/00, n. 14195/00, n. 14943/12, n. 10267/2005, n. 12262/2007;
[4] Cassazione sentenza n. 12104/2003;
[5] Invero, il capo dell’ufficio potrebbe anche rivestire la qualifica dirigenziale senza il superamento del concorso pubblico, ma questo deve essere un caso eccezionale e provvisorio la cui nomina deve avvenire in base all’istituto della delega (come anche chiarito in motivazione dalla Corte Costituzionale) e non in base ad una nomina ex lege senza concorso, come nelle fattispecie in esame (cfr. Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 18515 del 10/06/2010, depositata in cancelleria il 10/08/2010).
[6] Sentenze della Corte Costituzionale n. 194 del 2002, n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010 e n. 293 del 2009.
[7] Corte di Cassazione sentenze nn. 18515/2010, n. 17400/2012, n. 8166/2002, n. 17044/2013
[8] Corte di Cassazione nelle sentenze n. 874/2009, n. 9673/2004, n. 10773/2006, n. 12768/2006 e n. 9600/2007.
[9] Sull’argomento, il Consiglio di Stato ha stabilito i seguenti principi.
a) “Il fondamento del principio del funzionario di fatto risiede nell’esigenza di non turbare le posizioni giuridiche acquisite da tutti coloro che in buona fede sono entrati in rapporto con il funzionario e di evitare ai privati continue e difficoltose indagini sulla regolarità della posizione dei pubblici funzionari: pertanto, il fatto in sé dell’avvenuto esercizio del potere non è opponibile con effetto preclusivo al privato che intenda contestarlo” (sentenza n. 6 del 22 maggio 1993).
b)  La teoria che riconosce legittimi gli atti compiuti dal funzionario di fatto si fonda sull’esigenza di garantire i diritti dei terzi che vengono a contatto col funzionario medesimo e si sostanzia, dunque, nella tutela della buona fede del privato; ed in questa prospettiva gli effetti presi in considerazione dalla teoria in esame sono solo quelli favorevoli al privato (Cons. Giust. Reg. Sic. n. 170 del 24/03/1960; C. di S., Sez. V, n. 1160 del 15/12/1962; Sez. IV, n. 145 del 13/04/1949).
c) “Ritiene il Collegio al riguardo che la teoria del funzionario di fatto trova due ordini di limiti:
· l’uno derivante proprio dal fatto che l’interessato insorga negando il potere di chi ha emesso gli atti;
· l’altro proprio dalla tutela della buona fede del terzo, nel senso che detta teoria può essere invocata a vantaggio del terzo, ma non a danno del terzo” (Consiglio di Stato – Sezione 4 -sentenza n. 853 del 20 maggio 1999).
d) “E’ vero che la dichiarazione di ineleggibilità può avere effetto retroattivo, ma ciò non rende ipso facto invalidi gli atti compiuti nel frattempo; si deve, infatti, applicare il principio del “funzionario di fatto” grazie al quale, in linea di massima, gli atti compiuti restano validi, a meno che non siano stati impugnati nelle forme e nei termini dovuti, facendo valere proprio il vizio del difetto di titolo di chi ha agito come funzionario” (Consiglio di Stato, Sezione 3, sentenza n. 6534 del 19 dicembre 2012).
e) In definitiva, l’eventuale eccezione del c.d. “funzionario di fatto” non ha ragion d’essere se il contribuente impugna tempestivamente l’avviso di accertamento illegittimo, facendo rilevare che l’atto è stato emesso a suo danno e non certo a suo vantaggio. Infatti, la giurisprudenza ha elaborato la regola non scritta secondo la quale gli atti medio tempore posti in essere dal funzionario di fatto vengono comunque imputati all’Amministrazione in virtù del rapporto organico, e si presumono legittimamente assunti. La suddetta regola vale, però, per gli atti favorevoli al privato, per quelli sfavorevoli occorre distinguere tra diverse ipotesi. Nel caso in cui l’atto sia stato adottato da un soggetto la cui rivestitura risulti viziata ab origine, lo stesso sarà sicuramente invalido (difetto assoluto di attribuzione ex art. 21-septies Legge 241/1990). All’ipotesi del titolo nullo o inefficace va assimilato il caso in cui la nomina sia già stata annullata dall’autorità giudiziaria o dall’amministrazione stessa al momento dell’adozione del provvedimento, posto che anche in questo caso il titolo ha perduto retroattivamente efficacia, per effetto dell’annullamento giurisdizionale, al momento dell’adozione dell’atto lesivo. Anche in questo caso, quindi, non può che applicarsi la soluzione della nullità del provvedimento sfavorevole adottato da un soggetto privo di legittimazione.
[10] La sentenza 784/03/2015 della Ctp di Campobasso dopo essersi soffermata sull’ammissibilità del motivo aggiunto, relativo alla sottoscrizione da parte di un dirigente decaduto, né ha sancito l’illegittimità.
[11] Consiglio di Stato sentenze nn. 6/1993, n. 853 del 20.5.1999.
[12] Cassazione, sentenze nn.  17400/2012, n.14626/2000, n. 14195/2000, n. 14942 del 21.12.2012.
[13] Cassazione, sentenza n. 10513/2008.

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