CREDITO DI IMPOSTA SU DIVIDENDI PAGATI ALL'ESTERO: E' LEGITTIMO ANCHE IN ASSENZA DI CERTIFICAZIONE UFFICIALE
11 DIC 2024
Condividiamo la sentenza di accoglimento della Cgt di I grado di Pesaro n. 336 del 09.12.2024, che ha visto difensore il nostro studio, la quale si è pronunciata sul riconoscimento del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero da un contribuente residente in Italia in assenza di certificazione ufficiale dello stato estero. Nel caso di specie, l’amministratore di una società romena, in seguito alla distribuzione dei dividendi, pagava le imposte nello stato di produzione del reddito. Nella dichiarazione dei redditi italiana, il contribuente (poi deceduto) dichiarava il reddito percepito all’estero, applicando il credito di imposta (di cui all’art. 165 T.u.i.r.), corrispondente al 49,72%, del totale dell’imposta pagata dalla società all’amministrazione finanziaria rumena. L’Amministrazione finanziaria disconosceva il credito di imposta sostenendo che in assenza di una certificazione ufficiale proveniente dallo Stato rumeno non vi era la prova conclusiva che le imposte erano state assolte in modo definitivo in quello Stato. La difesa delle eredi, destinatarie della cartella di pagamento, osservava che la Convenzione tra Italia e Romania conclusa anche al fine di evitare forme di doppia imposizione non disciplina in modo esplicito del problema posto dall’Ufficio. In ogni caso le due ricorrenti si erano attivate con le agenzie fiscali del paese estero per ottenere certificazione al riguardo non ottenendo però risposta e divenendo così costrette ad autocertificare la natura definitiva dei pagamenti effettuati in Romania. Il collegio pesarese accoglieva il ricorso ritenendo di doversi attenere a due principi ermeneutici fondamentali: “Ciò che non è esplicitamente vietato è consentito” e “Nei rapporti tra Fisco e Contribuente vale il principio dell'affidamento e della leale collaborazione, autorevolmente estrinsecato nella sua valenza programmatica nelle norme che compongono il testo della legge 212 del 2000.”
Secondo la motivazione della sentenza, il principio di ragionevolezza esclude, in difetto di un esplicito obbligo della legge che si possa pretendere dal contribuente un determinato comportamento aggiungendolo come presupposto o condizione della norma giuridica.