Da un punto di vista giuridico ed in linea di principio, non esiste un limite all’autonomia contrattuale privata e quindi all’utilizzo dei citati contratti (su) derivati, purché essi siano diretti a realizzare interessi [art. 1411 c.c.] meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico [artt. 1343, 2035 c.c.] e nel rispetto delle norme regolamentari. La loro definizione è ritraibile dall’art. 1, co., 2 lett. D), e), f) g), h) e j) del T.U.F., ove sono ricompresi tra gli strumenti finanziari. Tecnicamente le Istruzioni di vigilanza alle banche, (all’art. 3), li definisce come: “… contratti che insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali titoli, valute, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa, ecc. Il loro valore deriva da quello degli elementi sottostanti. Costituiscono prodotti derivati, ad esempio, i futures, le options, gli swaps, i forward rate agreements.” La dottrina ritiene che il contratto derivato non sia un contratto collegato ad altro rapporto giuridico, bensì un contratto che insiste su elementi di altri negozi.