Con l’art. 2497 c.c il legislatore ha stabilito una responsabilità diretta in capo a chi esercita un’attività di direzione e coordinamento di società, ovvero riconosce ai soci e ai creditori sociali delle controllate la possibilità di agire nei confronti della capogruppo, quando violando i principi di corretta gestione delle stesse, ha arrecato un pregiudizio alla reddittività e al valore della partecipazione sociale o ha leso l’integrità del patrimonio. Secondo il terzo comma dell’articolo citato, tale azione può essere esperita dai soggetti controllati e dai creditori “
solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta all’attività di direzione e coordinamento”. Dalla lettura della norma potrebbe sembrare che i predetti soggetti siano obbligati a una preventiva escussione della controllata, ovvero, sarebbero tenuti a convenire in giudizio la propria società e, solo se insoddisfatti, potrebbero agire contro la società capogruppo.
Ma non è così. La Corte di Cassazione è intervenuta ieri con sentenza n. 29139/2017 chiarendo la corretta interpretazione della norma in esame e cioè, che l’azione di responsabilità nei confronti della capogruppo, non deve essere preceduta da una preventiva richiesta di risarcimento da fare valere sul patrimonio della controllata stessa. In primo luogo la Corte evidenzia il profilo letterale dell’art. 2497c.c. rilevando che “
la norma parla anzitutto di “agire” solo nei confronti della capogruppo, non alla società nominata: mentre a tale azione è di ostacolo la circostanza concreta che il socio o il creditore siano stati soddisfatti nelle loro pretese” e pertanto non sussiste alcun beneficio di preventiva escussione. Inoltre, secondo la Corte, l’accoglimento della tesi opposta andrebbe ad incidere negativamente sul valore della partecipazione sociale degli stessi soci proponenti (e anche di quelli che non hanno proposto analoga azione), che è proprio il pregiudizio contro il quale l’articolo del Codice civile offre tutela.
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